Sabina Colloredo ha la capacità di rendere magico tutto ciò che scrive, di “vedere” le donne più interessanti, marginali e ostinate di ogni tempo – streghe, fate, bambine, eccentriche – e di raccontarcele nei loro legami, nelle loro cadute, nelle loro venture e sventure.

Il primo libro con cui ho conosciuto questa scrittrice – strega, fata, bambina, eccentrica lei stessa – è stato Non chiamarmi strega, la storia di Lucetta, una bambina che con la magia non vorrebbe avere nulla a che fare: non sente di avere particolari poteri e le piacerebbe essere semplicemente una ragazzina come tutte le altre.

All’inizio Lucetta è affascinata da quella donna così stravagante e unica che l’ha partorita, una donna la cui fama di guaritrice attrae gente da ogni parte della costa ligure, malati in cerca di salvezza: “Più gente vedevo, più mi convincevo che mia madre fosse unica, diversa da tutti. Era bella, libera e coraggiosa, aveva gli occhi spalancati sul mondo senza pregiudizi e la profonda consapevolezza dei propri poteri che metteva al servizio dei malati e dei bisognosi. Lo pensavo il suo dono. Lo credevo un vantaggio…”.

Succede però che qualcuno faccia la spia, perché il confine tra guaritrice e strega è labile, e nell’Europa del 1500 bisogna stare attente, attentissime agli inquisitori. La scena più forte del conflitto che si viene a creare potrebbe essere quella di un comune scontro madre-figlia di ogni tempo: “- E allora, non potevi essere una mamma normale? – gridai, esasperata. Mi slanciai contro di lei e iniziai a tempestarla di pugni e di calci. – È colpa tua, è colpa tua! – urlai. – Non voglio morire! – Mi lasciò sfogare per un po’, stringendomi dolcemente i polsi. – Io sono una mamma normale, Lucetta. Ho solo delle conoscenze in più, perché mia madre me le ha trasmesse, come io le trasmetterò a te e tu… -, - Io non li voglio conoscere questi segreti, hai capito? STREGA! Lasciami fuori dalle tue stramberie. Io voglio essere una bambina NOR-MA-LE!” Nemmeno la risposta della madre la calma: “- Non farti sopraffare dalla paura, Lucetta. Devi essere fiera di quello che sono, perché è quello che sarai tu.”

Non vede cosa accadrà alla sua vita, ma accadrà ciò che deve: “Adesso il mio cuore è in pace. Sono quello che non sapevo di voler essere. Mi sono raggiunta poco per volta, perdendomi e ritrovandomi spesso. Dico alle mie figlie che per le donne è spesso così. Altri tracciano il destino per noi: gli uomini, i figli, le paure. In tanti ci mettono le mani senza neanche chiedere permesso, in questa nostra vita. Anche l’amore è un carico da novanta. Ma se si vuole, ce la si fa. Guardate me.”

Questa donna così consapevole e radiosa ricompare nel seguito che Sabina Colloredo ha deciso, anni dopo, di dare a Non chiamarmi strega. Il titolo è Quando diventammo streghe e la storia si ripete, almeno in parte: Lucetta è madre, oltre che guaritrice, e vaga con la figlia da una città all’altra d’Europa. Franchetta deve fare i conti con problemi simili a quelli che la madre ha avuto da ragazzina, ma soprattutto con la scoperta del legame più forte che può provare una ragazza a quell’età, l’amicizia. E qui Sabina Colloredo introduce un personaggio affascinante e controverso: Devina.

Cosa succede se la tua migliore amica ha una luce nera, un’ombra scura e incontrollabile? E poi c’è l’amore, con Antonio, il figlio del mugnaio. E davvero la trama di nuovo sembra quella di una storia di tutti i tempi, ma sempre calata verosimilmente in una realtà storica lontana che sembra vicinissima. E come potrebbero diventare un film o una serie queste due storie bellissime e legate fra loro?

Io vedo la prosa limpida e affascinante di Sabina Colloredo farsi scena, diventare accessibile senza perdere il suo mistero. Vedo attrici in dialogo, in conflitto, in equilibrio, volti che si susseguono, voci che si sovrappongono, figlie che diventano madri e sipari che non si chiudono mai.