“Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto” scrive Dostoevskij in una lettera del 1867, usando la parola “buono” in un senso preciso: bellezza, grandiosità d’animo, splendore.

Di questo Cristo ottocentesco che è il principe Lev Nikolaevič Myškin sono state date molte interpretazioni visive, nel cinema e nel teatro, anzi forse L’idiota è il romanzo più rappresentato della letteratura russa. E questo è avvenuto perché dentro il romanzo c’è un’immagine, straziante e imprescindibile, un quadro: Il corpo di Cristo morto nella tomba di Hans Holbein il giovane. Un dipinto del Cinquecento che raffigura un uomo a dimensione realistica, ispirato a un morto affogato. Un uomo che tende un dito verso chi guarda, che ha gli occhi aperti e che, se lo leggiamo con gli occhi della fede cristiana, dovrebbe raccontarci il momento prima della Resurrezione.

Il condizionale è d’obbligo, visto che si tratta di un quadro magnifico, macabro e controverso, che difficilmente può offrire un’interpretazione convenzionale, anzi, il principe Myškin, nell’Idiota, sostiene che potrebbe far perdere la fede a qualcuno. La morte del dipinto è viva, gli occhi dell’uomo sono aperti, ci guardano anche se non appartengono più a questa terra, ci interrogano profondamente, erano rimasti impressi a Dostoevskij che aveva visto il dipinto visitando una mostra a Basilea. Da lì era venuto il primo nucleo di quello che sarebbe stato un romanzo sul Bene, la più difficile delle sfide: perché a far letteratura sul male sono capaci quasi tutti, ma a raccontare cos’è la bontà, e come vivono gli uomini che lo praticano, riesce uno su un miliardo.

illustrazione di Mara Cerri
illustrazione di Mara Cerri

illustrazione di Mara Cerri

È una questione di soglie, più che di sfumature: di ciò che si riesce a vedere, e a far vedere, restando in un punto da cui si vede tutto. Herman Hesse ha scritto che per “questo mite idiota”, così lo ha chiamato, il bene è una cosa diversa che per tutti gli altri. Ha scritto: “Non che infranga le tavole della legge, ma le gira solo dall'altra parte e ci mostra che sul retro è scritto il contrario.” Un po’ come ha fatto Cristo. E forse è giusto che in questi tempi di guerre e genocidi, di distruzione e popoli che si odiano, venga voglia di rileggere e chissà magari anche riadattare L’idiota. Questo romanzo che Marcel Proust definì il più bello di tutta la storia della letteratura, arrivatogli in tutta la sua forza, nonostante, a suo dire, il filtro di pessime traduzioni.