Nella lista delle letture estive del 2021 di Barack Obama c’è Klara e il sole, di Kazuo Ishiguro. Non mi stupisce che un libro così potente abbia tanta risonanza, anzi sono felice se, grazie a questa notizia, può averne di più: è scritto da un premio Nobel, quindi non ha certo problemi di diffusione, ma se dovesse essere rimasto un angolo del pianeta dove ancora non è arrivato è il caso che lo raggiunga.

Sorrido scrivendo queste righe, notando che a volte, per certi libri, il mio entusiasmo è pronto ad accendersi e infiammarsi come quando ero bambina. È stato così con quest’ultimo romanzo di Ishiguro, un autore che ho amato da ragazzina e che ho ritrovato in splendida forma, uno scrittore maturo ma non appesantito, capace ancora di uno sguardo fresco, capace soprattutto di non fare il verso a se stesso, scegliendo cioè una scrittura e una storia che da un lato sono del tutto riconducibili alla sua poetica e dall’altro segnano anche un passo diverso, per certi versi inatteso.

In Italia, Klara e il sole è pubblicato da Einaudi nella traduzione di Susanna Basso, e l’incipit suona così: “Quando eravamo nuove, Rosa e io stavamo a metà negozio, sul tavolo delle riviste, e vedevamo più di mezza vetrina. Perciò potevamo guardare fuori: i lavoratori di ufficio che andavano di fretta, i taxi, i runner, i turisti, Mendicante e il suo cane, la parte bassa del palazzo RPO.”

A parlare è Klara, creatura ginoide, sorta di manichino parlante dalla voce robotica e infantile che ripercorre la storia del suo destino, svelando il lato illusorio del suo stare al mondo ma anche la complessità del suo ruolo. Klara è un AA, un “amico artificiale” che si alimenta di energia solare: il sole è il suo dio, la divinità che lei prega, con cui intrattiene un rapporto speciale: “Non pronunciai di fatto le parole ad alta voce perché sapevo che al Sole non occorrevano. Ma desideravo essere il più chiara possibile, perciò mi articolai nella mente qualcosa di simile a quelle parole, in modo rapido e silenzioso. – Per favore, guarisci Josie. Come hai fatto col mendicante.”

Josie è l’adolescente che ha scelto Klara e l’ha portata via dalla vetrina, facendola irrompere nella sua casa, nella sua vita. È così che inizia un romanzo che pone tutta una serie di questioni sul mondo, sul futuro, sul potere dell’amore e sui limiti dell’umano: cosa ne sanno dell’amore gli esseri non umani? In che modo possono amare? E fino a che punto possiamo amare noi? Ishiguro da tempo si interroga sul senso del limite che qui si fa corporeo, materico. Il racconto che Klara fa di sé è ipnotico, la lente con cui legge la realtà circostante è insieme sacrificale e innocente, una lente che deforma per arrivare alla verità, al cuore più autentico e sfuggente delle relazioni. Il senso del tragico ci offre la verità e allo stesso tempo ci consola.

“Credo che a questo punto dovrei confessare che per me c’era sempre un’altra ragione per voler stare in vetrina, una ragione che non aveva niente a che fare con il nutrimento del Sole o con l’essere scelti. A differenza di gran parte degli AA, a differenza di Rosa, avevo sempre desiderato vedere più del fuori, e vederlo come si deve. Di conseguenza, quando la grata si alzò, la consapevolezza che adesso tra me e il marciapiede restava soltanto un vetro, che ero libera di vedere, da vicino e per intero, tante cose che avevo visto soltanto come spigoli e scorci, mi emozionò al punto che per un attimo quasi mi scordai del Sole e della sua gentilezza verso di noi.” Il mondo emoziona, il sole accompagna, gli umani parlano molto e per comprenderli serve tempo, serve guardarli nella loro interezza. Penso a un cast possibile per questo romanzo struggente e mi dico che bisognerebbe soprattutto tutelarne la voce, aver cura di restituirne il timbro malinconico e assoluto, proprio come è riuscita a fare la traduttrice.

Certo, impossibile non pensare a quel capolavoro di Quel che resta del giorno, lo splendido film di James Ivory con Anthony Hopkins in uno dei suoi ruoli più indimenticabili. Erano gli anni Novanta e quel film, e quel libro, entravano nelle case di tutti, interrogandoci con forza sul senso della storia, sulla politica e il privato, sul bene e sul male. Il mondo è cambiato e anche Ishiguro ha cambiato le carte, resta sempre lui ma dove c’era il passato oggi c’è un imprecisato futuro, dove l’estraneo di famiglia era un domestico, un uomo, oggi c’è un robot che sembra una donna. Quel film resta immortale e totemico. E questo, come sarebbe se lo fosse?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sulla Rivista del Cinematografo di settembre 2021. Clicca qui per abbonarti