Un classico è sempre un libro che ha qualcosa da dire, lo sappiamo, eppure non è detto che lo dica in ogni epoca allo stesso modo, ecco perché le traduzioni cambiano, si aggiornano. Se la lingua originale di quel testo rimane intatta, cristallina, negli anni, l’operazione di travaso e difesa del suo senso profondo in un’altra lingua risente invece delle metamorfosi della società e dell’immaginario, che si riflettono nei dizionari. Un traduttore trova l’equilibrio giusto, scende giù in profondità e risale fino all’oggi, senza forzature, come un cercatore di pepite che ha trovato le più preziose e antiche, occultate ai più fino a quel momento.

Lo ha fatto di recente Monica Pareschi con quel romanzo eterno, disturbante e selvaggio che è Cime tempestose, da lei ritradotto per Einaudi, ed è stata per me l’occasione di rilettura che aspettavo, perché volevo vedere che effetto mi faceva adesso, a quarant’anni, la devastazione gotica e ancestrale che aveva lasciato in me a vent’anni, e poi a trenta, sempre uguale e sempre diversa.

illustrazione di Mara Cerri
illustrazione di Mara Cerri

illustrazione di Mara Cerri

Heatchliff e Catherine non sono due personaggi, ma un’unica maledizione. In un modo misterioso probabilmente anche a sé stessa, Emily Brontë è riuscita a dare vita a due figure che sono, allo stesso tempo, vive, vivissime, e fantasmatiche. Sono il fantasma di loro stessi, il loro passato senza futuro. Il loro legame è adorazione e repulsione insieme, e questo legame, che loro chiamano amore, anche noi dobbiamo riconoscerlo come tale, conoscendolo pagina dopo pagina in una sua versione acidificata e diluita, concentrata nell’eternità, in un per sempre che sa di morte.

Cime tempestose è un libro che ammala e non guarisce, che sconvolge per la violenza dei rapporti di sangue, per la bufera che ogni sentimento porta quando è vissuto allo stato selvaggio, per l’assoluto disprezzo dell’etica che deriva da Heatchliff, un antieroe così potente da essere diventato, nel tempo, il simbolo di tutti gli antieroi, il simbolo di un male radicato e inestirpabile, forse il solo capace di un vero amore folle.

La malattia che mette addosso Cime tempestose non è risolvibile, ecco perché i film tratti da questo romanzo non si fermeranno mai. Il male di vivere che racconta è eterno, e coincide con tutto ciò che di malato hanno gli amori infestanti come le piante velenose, ma di epoca in epoca gli sguardi, i lemmi e i vuoti con cui si può raccontare possono trasformarsi. Proprio come le sue traduzioni, che continueranno a invadere il mondo.

illustrazione di Mara Cerri
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