“Quando c’è la luna il silenzio è perfetto. E in silenzio io lo guardo, attraverso il cristallo del mio calice. Lo sollevo alla giusta altezza così mi sembra si unisca al mio brindisi, con la sua faccia d’argento”.

Non è detto che l’incipit di un libro sia abbastanza cinematografico da essere anche la prima scena del film che ne viene tratto, ma nel caso di Cercando Beethoven, il romanzo di Saverio Simonelli pubblicato da Fazi, non posso fare a meno di visualizzare la prima scena proprio così, con un calice innalzato alla notte, un calice “snello e prezioso”, come viene definito poco dopo: i boccali vanno bene per gli ubriaconi della locanda, non per il protagonista di questo libro né tantomeno per l’oggetto del suo brindisi, “un sovrappiù per quel luogo così come un sovrappiù per il mondo è stata la sua musica”.

Wilhelm, il protagonista, rievoca questa storia vent’anni dopo il suo inizio, e anche questo doppio piano temporale si presta a un’interpretazione filmica. All’epoca dei fatti, era un ragazzo con la testa piena di musica, che cercava la sua strada e ascoltava i maestri ma diffidando di manierismi, parrucche e redingote, cercava un luogo dentro e fuori di sé dove il suono fosse una cosa viva. Suo compagnò di strada diventò Andreas, dagli occhi grigi e inquieti che esprimevano “una frenesia così inconsueta in quel colore tenue e riposante.” Andreas è boemo, ha sangue blu, suona il piano e il violino, la storia di questo libro è anche la storia di un’amicizia, di un rispecchiamento.

A legarli è soprattutto Beethoven, mito ed eroe, idolo e modello, paragonato in queste pagine addirittura a Cristo e alla sua incarnazione eucaristica: “Quelle immagini, quelle storie, quelle passioni della vita di un eroe erano diventate per miracolo musica, si erano comunicate in un altro modo ma altrettanto vero. Non c’era un attore che lo impersonava in teatro, non c’era una pagina scritta che ne tramandava le gesta, no, quella cosa lì accadeva davanti agli occhi e alle orecchie di chi partecipava a questo nuovo rito. L’eroe, per un miracolo laico, era stato lì con loro, e il sacerdote musicista aveva fatto sì che quella vita eroica riaccadesse. L’unica cosa era capire come questo fosse possibile. Carpire da Beethoven quel segreto”.

Un film tratto da questo libro non dovrebbe svelare toppo di Beethoven, non molto più della scelta dell’attore che interpreta il musicista. Il suo personaggio è una sorta di nume tutelare, di atmosfera, di vagheggiamento e guida, ma è anche gradualmente svelato nella sua profonda umanità, come se lo si potesse spiare dal buco della serratura. I protagonisti, invece, sono tre: oltre ai due ragazzi già citati, una figura fondamentale è Queenia, ragazza enigmatica di cui Wilhelm si innamora. È lei a completare il trio, ed è lei di cui ci innamoriamo anche noi, perché è descritta con occhi innamorati.

La particolarità di questo romanzo d’invenzione innestato in un contesto storico è proprio quella di farci vedere il grande maestro attraverso lo sguardo dei contemporanei che lo hanno amato, riconosciuto, seguito. Durante una scena in cui si vede Beethoven appuntarsi qualcosa, Wilhelm annota: “Ero sempre più convinto che non voleva il distacco dagli altri ma in quei momenti in cui la sua immaginazione lavorava non gli piaceva che gli altri pensassero a una sua eccezionalità. Detestava provocare qualsiasi forma di adulazione. Doveva momentaneamente isolarsi per accogliere l’ispirazione e meditarla in tranquillità. Stavo idealizzando, forse, magari era il suo carattere spigoloso, ma probabilmente la verità era che quell’uomo era sempre al di là di qualsiasi congettura”.

Saverio Simonelli, però, fa anche qualcos’altro con questo libro: lascia un vero e proprio omaggio alla musica, al suo potere, alla sua natura salvifica ma soprattutto alla sua essenza performativa: “È strano pensare di essere soli in mezzo a mille persone. Avevo tanto cianciato della natura morale della musica, dell’Io e del Tu e ora invece mi inorgoglivo nel provare una sensazione assolutamente personale e orgogliosamente solitaria”.

Con una scrittura lineare e semplice, lasciando fluire il corso degli eventi, Simonelli ci porta nel cuore di una finzione costruita sulla realtà, una storia immaginata dentro un contesto storico preciso. Attraverso gli occhi del protagonista, vediamo il mondo così com’era e come possiamo ancora vederlo, ogni volta che sentiamo le note dell’uomo che ha trasformato, e forse inventato, la musica stessa.