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illustrazione di Mara Cerri
Emilie Pine è un’insegnante di drammaturgia e vive a Dublino. Nel 2018 ha vinto l’Irish Book Award, il più importante premio letterario irlandese, con un libro che ha qualcosa di sconvolgente: Appunti per me stessa (pubblicato in Italia da Rizzoli nella traduzione di Ada Arduini) è scritto con la dichiarata intenzione di non rivolgersi mai al lettore, ma solo alla propria vita, cui guarda fisso, non mollando mai la presa nel descrivere fatti, eventi, segreti e soprattutto una quantità smisurata di epiche sfortune.
La prima domanda che sorge è proprio quella: davvero la vita di una donna può contenere tutto questo? Dall’aborto al rapporto conflittuale con il padre, dalla violenza alla maternità mancata, il romanzo che Emile Pine scrive sul suo corpo si presenta come una sequela di fortune rovesciate, mancanze, responsabilità altrui, disagi. Se il romanzo del corpo è sempre un romanzo politico, questo di Pine lo è oltremodo, e più l’autrice sprofonda dentro sé con spietatezza più affonda dentro di noi con lama tagliente.
Pine diventa scrittrice contro il volere della persona di cui deve, per forza di cose, prendersi cura: “Quand’ero bambina e lui cominciava a combattere contro la depressione che ha contrassegnato tutta la sua vita adulta, papà mi aveva fatto promettere che da grande non sarei diventata una scrittrice.” Fin da piccola ha imparato a tenere distinto il proprio mondo interiore da quello che è giusto dire, perfino promettere, per salvarsi la pelle. “Io gliel’avevo solennemente giurato, ma dentro di me sapevo che sarebbe successo l’esatto contrario. Perché in realtà mio padre mi ha insegnato, forse suo malgrado, che scrivere è un modo di dare un senso al mondo, un modo di elaborare (di possedere) pensieri ed emozioni, un modo di trasformare il dolore in qualcosa di prezioso.”
Seduta al capezzale del padre, in una stanza d’ospedale in Grecia, Emilie Pine sente fin dentro le ossa che riuscirà a tollerare quello che sta accadendo solo se potrà trasfigurarlo in scrittura, il dolore è fatto per finire dentro una storia, può svuotarsi solo così. Nella finzione, Pine può chiedersi se, di quella storia, la protagonista è lei oppure no. Il palcoscenico che sembra essere stato fino a quel momento del padre all’improvviso si svuota, i personaggi che lo occupavano le lasciano il posto, perché la trama la scrive chi la racconta, non chi la subisce. La ragazza che sogna di fare la scrittrice comincia in quel preciso momento a prendere appunti per sé.


Sono appunti in cui noi, molti anni dopo, ritroviamo non solo lei ma anche noi stesse: ragazze sulla cui pelle la vita ha scritto un romanzo, scena dopo scena. “Le donne conoscono molto bene i rituali che accompagnano la valutazione del proprio corpo. Guardiamo le donne che ci circondano, guardiamo noi stesse e facciamo i confronti. Siamo simili? Superiori? Inferiori? Questo rituale prevede una sorellanza crudele, considerato che quasi nessuna donna vi sfugge.
È come vivere con una cheerleader disfattista, che in sottofondo continua a canticchiare che il nostro corpo non è desiderabile, non è accettabile, non è normale.” Esaminarsi e provare disgusto per i propri difetti è una pratica così normale nell’adolescenza delle femmine che passiamo gli anni successivi a dare per scontato quanto siamo fatte male e come possiamo mimetizzare ciò che non va bene di noi. Il corpo delle donne, ci hanno insegnato, è così imperfetto e disprezzabile che dobbiamo solo mortificarlo, strizzarlo o incidervi su perché migliori o nasconderlo perché non sia visto.
Invece, il corpo di Emilie Pine – sopravvissuto a un’infanzia problematica, a lutti, malattie, aborti, violenze, alla propria sterilità – è un corpo bellissimo, perché reca la propria storia invisibile su ogni atomo. Appunti per me stessa indica con chiarezza che la strada per amarsi è togliere il velo da sé, anzi non indossarlo affatto. È una strada da percorrere con la fermezza di chi non torna indietro, ma sa osservarsi mentre cade, e cade di nuovo.
Cadere, dice questo libro, è l’unico modo che abbiamo per camminare. Mentre pensavo al film che vorrei fosse tratto dal libro di Emilie Pine, mi chiedevo quanto potesse essere brutale e irrispettoso sottrarlo all’autrice e metterlo su uno schermo, ma in fondo, confesso, non ho mai creduto, neppure un attimo, che lo abbia scritto davvero solo per sé. C’è sempre un lettore in fondo a ogni pagina, c’è sempre una persona per cui ci mettiamo a scrivere. In questo libro dove tutti vengono chiamati per nome, il vero destinatario è il compagno della protagonista, l’unico a comparire con un’iniziale puntata.
Emilie Pine lo protegge e lo incensa, raccontando l’amore disincantato, quello che passa attraverso la consapevolezza di essere famiglia senza poter diventare genitori. Così, per una volta, non è lei l’attrice su cui proietto più fantasie, ma l’attore che interpreterebbe lui, è lui la musa ispiratrice di questa spudorata storia dei corpi di tutte.