Nel 1968 maggio arriva con tre mesi di anticipo. Almeno in Francia. Dove all’inizio di febbraio André Malraux, il ministro della cultura del governo gollista, licenzia Henri Langlois, il mitico direttore della Cinémathèque. Ma pochi giorni dopo al Palais de Chaillot si dà appuntamento per protestare contro la decisione l’intero cinema francese con in prima fila Jean-Paul Belmondo, Simone Signoret, Michel Piccoli, Jean Renoir, Jean-Luc Godard, François Truffaut, che vengono caricati dalla polizia davanti alle troupe dei tg stranieri. Il ministro è costretto a fare marcia indietro.

Langlois rimane alla testa della cineteca, più onnipotente di prima. Quando il 10 maggio s’inaugura il Festival di Cannes, la tranquillità è solo apparente. A Parigi la Sorbona sta per essere occupata, mentre i dibattiti più accesi si tengono alla fabbrica della Renault di Boulogne Billancourt e al Théatre de l’Odéon diretto da Jean-Louis Barrault innescando subito l’effetto domino per cui in numerose città di provincia le manifestazioni dei liceali e degli universitari si scontrano con la polizia e si moltiplicano le iniziative politiche fino al grande sciopero generale che mette in ginocchio l’intero Paese.

Naturalmente la contestazione infiamma anche il Festival – come succederà alla Mostra di Venezia occupata, dove Cesare Zavattini viene trascinato via a braccia dai poliziotti – costretto a chiudere i battenti quando critici e giurati se ne vanno a Parigi per partecipare agli Stati generali del cinema francese. Alla scuola di cinema di Rue Vaugirard millecinquecento tra professionisti e allievi in quindici giorni di febbrili discussioni elaborano i progetti più rivoluzionari. Il Sistema ne esce clamorosamente bocciato perché avulso dalla nuova realtà, segnata dalla rivolta studentesca e dalle barricate per le strade.

Il rinnovamento radicale auspicato non ha poi, si sa, modificato l’assetto istituzionale del mondo delle immagini. Come non è facile accertare fino a che punto il Maggio abbia inciso sul cinema degli anni seguenti. Gli anni in cui cambiano gli aspetti più evidenti della società civile, dalla moda al linguaggio, ma anche quelli più profondi dei comportamenti interpersonali e dei rapporti gerarchici, del ruolo della donna e della vita di coppia. Sono gli anni di Woodstock e dell’allunaggio dell’Apollo, delle manifestazioni di milioni di americani contro la guerra del Vietnam, delle dimissioni di De Gaulle e di quelle di Nixon dopo il Watergate.

Gli anni in cui la storia cambia i cavalli, diceva Mario Soldati citando Byron. Come non citare a questo punto almeno Easy Rider di Dennis Hopper, il discusso film-manifesto della cultura alternativa? Ma il film che meglio coglie lo spirito del tempo e le sue contraddizioni è Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, dove l’apocalittica esplosione finale manda in frantumi al ritmo della musica dei Pink Floyd il mondo così com’è del consenso obbligatorio in nome del potere dell’immaginazione.