PHOTO
Maryam Touzani
“Al cinema si tende a nascondere le persone anziane e a non raccontare quando si invecchia perché sono momenti della vita di cui si ha paura. Penso invece che la vecchiaia sia una fase della vita che rappresenti un po’ il nostro testamento. E credo che sia giusto celebrarla, sublimarla, renderla bella e dimostrare che a quell’età ci può essere anche tanta forza”. Così la regista marocchina Maryam Touzani che ha presentato in apertura della 31esima edizione del MedFilm Festival il suo ultimo film Calle Malaga.
Già passato in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato premiato dal pubblico e prossimamente in sala con Movies Inspired, il lungometraggio della regista di Adam (2019) e de Il caftano blu (2022) racconta la storia della settantanovenne spagnola Maria Angeles (interpretata dalla bravissima Carmen Maura), una donna che vive da sola a Tangeri, in Marocco, la cui vita viene sconvolta quando sua figlia, Clara (Marta Etura), arriva da Madrid decisa a vendere l’appartamento dove lei ha sempre vissuto.
“Questo film è nato da una mancanza: la perdita di mia madre- racconta la regista-. Volevo un po’ tornare a dialogare con lei. È per questo che per la prima volta in un mio film ho usato come lingua lo spagnolo. Ha una spiegazione emotiva perché lei parlava anche spagnolo. E nella mia testa quando parlo con lei parlo questa lingua. È stato un po’ continuare ad averla vicina a me, anche attraverso il cibo: dalle tapas alle tortillas. Tangeri è una città molto vicina al confine spagnolo per cui sono cresciuta in un contesto pregno della comunità spagnola. E penso che l’identità venga dalla ricchezza della diversità”.


Carmen Maura in Calle Málaga
Nel film c’è un grande contrasto tra madre e figlia. “Volevo parlare della differenza intergenerazionale e della distanza che si crea tra generazioni diverse. Lei non è una cattiva figlia, anzi ama sua madre, così come sua madre non è una cattiva madre. Ma Clara si trova in una situazione in cui deve fare di tutto per vivere e per andare avanti con il divorzio imminente. Talvolta con il tempo persone della stessa famiglia d’origine, anche un genitore e un figlio appunto, possono diventare degli estranei. Ho cercato di non giudicare i miei personaggi. Qui c’è una madre, ancora piena di vita, che sceglie di non abbandonare la propria vita e di non rinunciare a tutto per la figlia”.
Soprattutto Maria sceglie di non lasciare la propria casa, oggetto della controversia. “La casa è un personaggio del film, forse quello principale. Maria si identifica con ogni parte di quell’appartamento. Una parte della sua identità va via con i mobili quando vengono venduti all’antiquario. Non sono solo mura. Tutto per lei sono ricordi. Tutto è vissuto e parte della sua anima. Ecco, io ho cercato di rappresentare proprio questo. Ho raccontato l’anima degli oggetti che possono sembrare inanimati, ma non lo sono affatto. Hanno un senso perché sono stati testimoni della vita di questa persona”. L’antiquario (Ahmed Boulane), divenuto nel frattempo il suo amante, compra i suoi mobili e a un certo punto lo spettatore pensa che rileverà anche la casa e invece non è così. Il finale è aperto e non è detto che sia un happy end.
“Non ho voluto dare una risposta a questo enigma. È raro purtroppo avere dei finali felici nella vita. Volevo creare questo legame e questa sorta di rapporto-non rapporto tra queste due donne. Un altro personaggio del film è la sedia a dondolo che Clara alla fine accarezza pensando un po’ alla mancanza di sua madre, nonostante sua madre stia lì davanti a lei, fuori dalla finestra. In quel momento lei diventa consapevole che qualora decidesse di vendere quella casa, come sta per fare, taglierà qualsiasi ponte con sua madre. Il mio è più un film su questa donna anziana che riscopre l’amore e torna in vita”. Una donna che riscopre anche la sessualità.


Carmen Maura in Calle Malaga
“È un’ingiustizia per me il tabu del sesso per le persone più anziane- spiega la regista-. Volevo mostrare una donna che riscopre la propria sessualità, anche parlando con la suora, e lo fa senza vergogna. Una vergogna che si crea man mano che passano gli anni. Ma non siamo la stessa persona che eravamo da giovani? È questa la domanda che mi sono posta e che forse dovrebbero porsi tutti. È sbagliato mettersi in delle scatole in cui qualcun altro ci dice quale è il giusto modo di invecchiare. Dobbiamo avere la libertà di vivere come vogliamo e come possiamo. E il sesso incarna proprio questa idea di libertà. Non avere paura del proprio corpo e di essere guardata con le sue rughe e i suoi difetti. Penso che la vecchiaia e l’infanzia siano le fasi della vita in cui uno si sente più libero”.
Infine conclude: “Sono commossa di aver presentato il mio film al MedFilm Festival. Un festival speciale per l’impegno sociale e civile. Questo film è ambientato nella città natale di mia mamma. E per me è un modo per cambiare il dolore e trasformarlo in qualcosa di positivo. Ho dunque voluto celebrare la vita e anche Tangeri, una città con un mix culturale di lingue e persone. Ecco penso che in un mondo come quello attuale in cui si erigono muri e si alzano barriere dovremmo fare l’opposto”.
