PHOTO
J.D.M. Twetyseven
Parigi, 1971. Un uomo si risveglia nella vasca da bagno di un appartamento al 17-19 di Rue de Beautreillis, nel cuore di Le Marais. Prima ancora di accertarsi d’essere vivo un altro miracolo in una vita di miracoli stanchi - afferra la bottiglia di whisky ormai vuota e si affaccia alla finestra con uno sguardo condannato e arreso, ma lucidissimo. Velate di rosso e scandite dall’alternanza di un rock-blues e dal ronzio lontano di un elicottero, le prime immagini richiamano i fantasmi della notte tra il 2 e il 3 luglio: quando Pamela Courson (Carlotta Antonelli) trovò nella vasca d’acqua sporca il corpo del compagno ventisettenne James Douglas Morrison, Jim Morrison (Bret Roberts).


J.D.M. Twetyseven
Menzione d’onore ai Los Angeles Movie & Music Video Awards 2024 e semifinalista al Mediterraneo Festival Corto 2025, ora su Amazon Prime Video Italia, J.D.M. Twetyseven , scritto, prodotto e diretto da Rossella Logiurato e Roberto Avolio, non rincorre l’ennesima agiografia dell’icona maledetta. Preferisce entrare nell’ultimo tratto di una traiettoria estrema: la fuga dagli Stati Uniti, la ricerca di quiete a Parigi, il desiderio (forse illusorio) di tornare alla scrittura. Più che la celebrità, qui interessa l’uomo: destinato alla memoria, sì, ma consumato dagli eccessi, fragile fino alla crepa.
La narrazione non concede speranza; procede invece per visioni, lungo una decadenza lenta e già scritta, l’ombra di un riscatto che sappiamo irraggiungibile. Eppure, è proprio in questa soglia che l’umanità di Morrison si fa carne, esposta senza alibi, anche letteralmente. Tra strappi improvvisi, affetti respinti, richieste d’aiuto appena sussurrate e tentativi di fuga, il film alterna una realtà immersa in una dominante blu - pronta a spezzarsi - e un sogno in bianco e nero: forse i negativi del suo Highway, il lungometraggio mai compiuto, diventati metafora di ciò che resta di un paradiso apparente (la fama) ormai mutato in un bosco senza vita. A resistere, e a vincere, è solo la tentazione, incarnata da un serpente: unico dettaglio a colori, come una scheggia di destino che non smette di mordere.


J.D.M. Twetyseven
Nel monologo finale la voce dell’artista si rivolge direttamente a chi guarda, come per un’ultima confessione senza richiesta di perdono. Non c’è giustificazione, non c’è posa: si rivela soltanto la vulnerabilità di un giovane uomo scomodo, imprevedibile, irriducibile - e per questo, vero.
Di Morrison il cinema ha raccolto molti scorci e molte variazioni sul mito, spesso ripercorrendo gli stessi trionfi e le stesse cadute per aggiungere un dettaglio, un’angolazione, un nuovo riflesso. J.D.M. Twetyseven non pretende di dire “la verità” definitiva né di insegnare qualcosa che non sappiamo già: lavora per sottrazione, riduce i dialoghi quasi all’osso, si affida a un’interpretazione solida, e soprattutto sceglie la via dell’intimità. Ne esce un sussurro più che un racconto: lo spettatore viene chiamato dentro quella stanza, fino a sentirsi, per pochi minuti, parte di un momento fragile e inaccessibile, oltre la soglia di un appartamento che il mondo, allora, non avrebbe mai potuto attraversare.
