Nella sua prima versione, uscita nelle sale il 19 febbraio 1963 all’interno del film a otto mani Ro.Go.Pa.G, La ricotta aveva procurato a Pier Paolo Pasolini una condanna in prima istanza a quattro mesi di reclusione per aver vilipeso la religione dello Stato. Nel saggio Le cronache di S. Matteo. Il film amato e accantonato di Pier Paolo Pasolini (2022) lo storico Tomaso Subini ha dimostrato quanto la condanna del film fosse fondata su una solida base probatoria e non si trattò pertanto, come ritengono ancora in molti, di un errore giudiziario.

Una premessa fondamentale per capire come si mosse la stampa cattolica subito dopo l’uscita del film, prima ancora che il 1° marzo ne fosse ordinato il sequestro. L’Osservatore romano del 24 febbraio ospitò il giudizio del Centro Cattolico Cinematografico che lo inseriva nella lista dei film “sconsigliati” (insieme, tra gli altri, a Il sorpasso e a La ciociara) e lo stesso giorno Gian Luigi Rondi sul Tempo lo stroncò senza mezze misure, come era nello stile dell’epoca, auspicando che il pubblico in primis lo avrebbe rifiutato. Si stava combattendo, nel frattempo, una battaglia tutta politica tra il regista e il PM Pasquale Pedote, e tra due visioni del mondo e della società inconciliabili che i due rappresentavano da schieramenti opposti: La ricotta fu sequestrato, prima ancora che per i suoi contenuti vilipendiosi, per lo zelo del magistrato, che in quegli anni stava combattendo una crociata moralizzatrice che ebbe come bersagli anche Giovanni Testori, Marco Ferreri e Michelangelo Antonioni.

Ro.Go.Pa.G, infatti, aveva già superato il vaglio della censura che l’8 febbraio ne aveva autorizzato la proiezione con il divieto per i minorenni e lo stesso CCC, se ne “sconsigliava” come detto la visione, non la “escludeva”. Il processo si svolse dal 5 al 7 marzo, affidato a Giuseppe Di Gennaro, un PM che seppe fornire solide argomentazioni ai capi d’accusa grazie a una inaspettata conoscenza del linguaggio cinematografico. La polemica non poté che divampare, infuriando soprattutto sulle pagine della Rivista del Cinematografo. Sul numero di aprile, nella rubrica “Dalla platea”, si segnalava l’eccezionalità del sequestro e, qualche pagina dopo, la recensione del film ne sminuiva la portata simbolica.

A rafforzare il giudizio negativo, seguiva una nota in cui si pronunciava il CCC che, chiamato in causa e da qualche parte criticato per la classificazione del film, pubblicava in quella sede la motivazione espressa dalla Commissione Nazionale di revisione: “Nell’episodio di Pasolini l’identificazione del diseredato morto in croce con il Cristo non è aliena da un’oscura percezione di una realtà cristiana di redenzione, ma è compromessa dall’innesto di una polemica classista, che ripete i logori schemi del marxismo protestatario. Per sferrare un violento attacco all’industria, che sfrutta, unicamente a fine di lucro, il mistero della croce, l’A. cade in una analoga trappola e fa spettacolo con una contaminazione assai rischiosa e spesso irriverente. Alcune battute di un’intellettualistica polemica, caratterizzate da distorsioni ideologiche; vari elementi collaterali della vicenda, o riesumati dall’amorale campionario di certo sottoproletariato retoricamente standardizzato; alcune grossolane volgarità nonché l’aggiunta del patetico ma pur agghiacciante pessimismo pasoliniano, rendono sconcertante ed equivoca la lettura dell’episodio”.

Ancora nel numero di giugno della rivista, l’anonimo estensore della rubrica “Schedario” commentava incredulo e piccato l’uso dell’aggettivo “cristianissimo” adoperato a proposito della Ricotta sul n.162 di Cinema Nuovo da Renzo Renzi. E Pasolini? Avvilito per l’esito del processo, rispose da par suo con alcuni versi (datati 6 marzo 1963, ora in Poesia in forma di rosa): “Il Santo è Stracci. La faccia di antico camuso/ che Giotto vide dentro tufi e ruderi castrensi, /i fianchi rotondi che Masaccio chiaroscurò/ come un panettiere una sacra pagnotta ”, e ancora: “Dove il Cristianesimo/ non rinasce, marcisce. E, contraddizione/ mille volte, mille volte allusa/ dal mio Cristo, irriducibile, / finisce difeso da qualche Erodiano impazzito/ macabramente privo di senso del ridicolo”.