Ci sono notizie che non lasciano per nulla spazio alla speranza, notizie che turbano il cuore e la mente, notizie che sconvolgono per la loro devastante irruenza. Fra tutte, non c’è dubbio che ricevere la notizia che un proprio parente sia affetto da un tumore ormai incurabile e, quindi, destinato a morte prossima e certa, faccia parte di questo genere di notizie. Se poi è l’interessato a venirlo a sapere, come dovrebbe essere eticamente giusto, allora davvero la parola speranza diventa qualcosa di lontano e, ormai, inafferrabile. E se a questa persona la notizia venisse celata? Non per cattiveria quanto, piuttosto, vista l’età avanzata, per far godere al meglio e pienamente i giorni che le restano?

È la domanda che si pone la famiglia di Nai Nai, un’anziana donna cinese e “mater familias” di un clan davvero numeroso che, per l’appunto, scoperto il cancro in stato avanzato della donna decide di stringersi attorno a lei, tornando da ogni luogo in cui sono emigrati e inscenare un matrimonio per farle vivere quest’ultima gioia senza rivelarle la malattia. Peccato (o per fortuna) che, fra i membri della famiglia Wang, ci sia la giovane e intraprendente Billi, nata a Pechino ma newyorkese da quando aveva sei anni, che torna in Cina per quest’occasione, non trovandosi particolarmente d’accordo con la decisione dei parenti e vivendo con angoscia la presunta “bugia buona” detta all’amata nonna.

The Farewell – Una bugia buona è l’opera seconda di Lulu Wang, classe 1983, nata a Pechino da una curatrice editoriale e un diplomatico stanziato in Unione Sovietica, emigrata con i genitori negli Stati Uniti all’età di sei anni e, laureatasi in musica e letteratura, passata poi alla regia di diversi cortometraggi fino a esordire al lungometraggio con il dramma sentimentale Posthumous (2014; inedito in Italia).

The Farewell
The Farewell

The Farewell

(Webphoto)

Wang, anche sceneggiatrice, attinge alla propria esperienza personale rielaborando un soggetto già esposto nel racconto breve What You Don't Know, letto durante una puntata del programma radiofonico This American Life nel 2016, ricevendo in seguito dal produttore Chris Weitz (saga di American Pie) l’offerta di dirigere un film basato su di esso, uscito poi con successo nelle sale nel 2019. Si è, infatti, ispirata in parte ad avvenimenti specifici della propria vita come l'aggravarsi della malattia di sua nonna, e in parte alle sue esperienze di tutti i giorni come immigrata cinese negli Stati Uniti.

A dare vita al suo alter ego cinematografico è l’esplosiva Awkafina, comica e rapper statunitense di origini cinesi e coreane, fattasi notare nel 2018 in Ocean’s 8 e Crazy & Rich e, qui, al primo ruolo da protagonista che le ha regalato un Golden Globe alla “miglior attrice di commedia”. Nel cast cinese degni di nota sono il padre interpretato da Tzi Ma, volto notissimo di molte commedie d’azione e serie televisive, e la “debuttante” Zhao Shuzen che, all’alba dei suoi 85 anni, esordisce al cinema nei panni della nonna dopo una lunga carriera teatrale, portandola a vincere l’Independent Spirit Award alla “miglior attrice non protagonista”.

The Farewell si poggia su un proverbio cinese che recita che le persone non muoiono di cancro ma di paura. La filosofia buddhista prevede, infatti, un equilibrio armonico tra corpo e spirito e, quindi, uno stato d'animo cupo e depresso non può che influire negativamente sulla salute fisica. È quindi uso piuttosto comune non rivelare ai malati terminali le loro effettive condizioni, al fine di non spaventarli e affinché possano trascorrere serenamente i loro ultimi giorni. Se su questo pensiero si ritrova tutta la famiglia Wang, l’eccezione rappresentata da Billi è anche figlia della cultura occidentale della quale è ormai completamente parte e che si contrappone, in modo particolare, alla parte di famiglia emigrata in Giappone e, quindi, rimasta in Oriente (per quanto il paese del Sol Levante sia anch’esso occidentalizzato).

Awkwafina e Zhao Shuzhen in The Farewell
Awkwafina e Zhao Shuzhen in The Farewell

Awkwafina e Zhao Shuzhen in The Farewell

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In una scena particolarmente significativa, lo zio cerca di spiegare a Billi perché mentire alla nonna sulle sue reali condizioni non sia sbagliato, essendo fatto a fin di bene: lei, ormai culturalmente americana, crede che la vita appartenga soltanto all'individuo, mentre per la cultura cinese la vita individuale è parte di un organismo più complesso, nel quale rientrano la famiglia, la comunità, la società. E in questo caso compete alla famiglia prendersi carico del peso della malattia, cercando di evitare all'anziana di ogni sofferenza. Infatti, scoperta la cattiva notizia, non solo si precipitano per andare a porgere un ultimo saluto alla propria madre ma si organizzano per le nozze improvvisate, sacrificando il povero cugino e la spaesata fidanzata giapponese e consegnandoli alle pretese organizzativo-celebrative dell’attivissima matriarca, felice di rivedere sotto lo stesso tetto dopo vent’anni i suoi due figli e le loro famiglie ormai divise fra America e Giappone.

In The Farewell, che a tratti ricorda il pluripremiato Il banchetto di nozze (1993) che ci fece conoscere il maestro taiwanese Ang Lee, la parola speranza ha, quindi, una molteplice declinazione. Per gran parte della famiglia Wang equivale a una serenità dello spirito che sola può realmente contrastare il venir meno del corpo, mentre per Billi è l’adesione a una verità che sola può permettere di attraversare in modo autentico il mare magno che è la vita, lei che sta cercando a fatica di sfondare come scrittrice.

L’opera seconda di Lulu Wang gioca sulla sospensione: sospesa è la verità del tumore della nonna e delle nozze del nipote, sospesa è la vita professionale di Billi, sospesa è la famiglia Wang fra diverse culture e tradizioni. Solo l’equilibro e l’armonia, concetti cari alla cultura orientale, possono permettere di non scivolare dentro queste sospensioni e, quindi, di generare quella speranza che permetta alla vita, fatta di scelte e di compromessi, di trionfare nonostante tutto.