Non so se è un buon modo riesumare il '68 al cinema richiamando, rivedendo, raccontando a figli e posteri, che so Fragole e sangue (1970) di Stuart Hagmann sulle rivolte studentesche alla Columbia University (tra l'altro prodotto da una major hollywoodiana) o Un film comme les autres (1968) di Godard con tre studenti di Nanterre e due operai Renault che raccontano l'esperienza rivoluzionaria o l'hippy documentary Revolution (1967) di Jack O'Connell o Zabriskie Point (1970) di Antonioni, un poema che tutto comprende e intende in ogni area geografica culturale. Tra Stati Uniti e Francia uno potrebbe dire che il '68 al cinema erano altro, ovvero le Nouvelle Vague protratte dai primi anni '60. Non solo. Che le influenze su come Stati Uniti ed Europa hanno raccontato il '68 vengono proprio dalle Nouvelle Vague di altre aree.

Easy Rider di Dennis Hopper (1969)
Easy Rider di Dennis Hopper (1969)

Easy Rider di Dennis Hopper (1969)

La più impressionante, per quanto fondeva materialismo e spiritualità in forme e contenuti di ribellione di civiltà e reclamo di libertà, il “Cinema Novo” brasiliano di Glauber Rocha, Nelson Pereira Dos Santos eccetera, rivisitato dal doc del figlio di Rocha in distribuzione in queste settimane. E vero però che in area Usa/Francia ognuno può fare la sua lista di “film di contestazione” in storie di sfida ai poteri, dalla scuola alla famiglia alla politica, dove le vicende di contropotere cercavano spazio proprio nel cinema come contro potere capace di scavalcare i modelli di produzione o di sfruttarli, quindi via con Easy Rider e La maman e la putain, Duel , Alice's Restaurant , La cinese e La Cina è vicina , ma anche La calda notte dell'ispettore Tibbs , Woodstock e, che so, Giù la testa , Goto , l'ile d'amour , Les biches , Ciao America! .

Qualcosa nell’aria di Olivier Assayas (2012)
Qualcosa nell’aria di Olivier Assayas (2012)

Qualcosa nell’aria di Olivier Assayas (2012)

Classi sociali e crisi della borghesia, l'impulso all'eccentrico e la repressione, fuga dalla realtà e contrordine compagni si torna a studiare, droga e guerra, la forza dirompente e associativa del rock: forse le narrazioni più distaccate sono quelle che oggi riconosciamo meglio (ma non più vere) come le “narrazioni del '68”, che sia Il grande freddo (1984) di Kasdan, Milou a maggio (1989) di Malle, The Dreamers (2003) di Bertolucci o Qualcosa nell'aria (2012) di Assayas. Resta però il dubbio che la cosa più importante non sia come il cinema ha raccontato il '68, ma come il cinema ha sollecitato, ha imposto, il senso di una rivolta etica, politica, religiosa, sociale soprattutto dove non raccontava il '68, ma era il '68. Nel “sessantotticidio” messo a punto dal potere le istanze sono però continuate, rifluite, rieditate nei decenni seguenti, anche nel cinema. Qui la questione diventa assai individuale. Per esempio, per me il '68 fu la scoperta, qualche anno dopo, di Il fascino discreto della borghesia (1973).

Persona di Ingmar Bergman (1966)
Persona di Ingmar Bergman (1966)

Persona di Ingmar Bergman (1966)

A 18 anni corrispondeva, come una scossa tra cuore e mente, al senso di disorientamento del reale, di ribellione generale e di rivelazione dell’arbitrario che si percepiva e si soffriva nell’adolescenza, come un inganno esistenziale e politico. Non capivo Godard e me ne sentivo visceralmente attratto, e questa era la questione politica. Persona di Bergman fu invece la dirompente questione esistenziale. Questo per dire che l’onda era forte, fortissima, saliva fin su nelle età post puberali, in quelle pre-adolescenze incandescenti che, per ingenuità, imitavano e sbagliavano tragicamente, quando l’opposizione diventava intolleranza, la disubbidienza fascismo. Sia chiaro, del senno di poi son piene le fosse…

Ultracorpi – L’invasione continua di Abel Ferrara (1993)
Ultracorpi – L’invasione continua di Abel Ferrara (1993)

Ultracorpi – L’invasione continua di Abel Ferrara (1993)

Forse la cosa più interessante del ’68 è altro dal cinema. O comunque lo comprende. Personalmente mi interessa la morte del ’68. La morte dell’utopia. La fine di un richiamo politico umanistico. Sono interessanti tutti gli attacchi mirati e gli attacchi riflessi al '68, anche col cinema (che non si è fatto), la copertura di eventi storici, colpi al cuore e stragi evanescenti per l’azzeramento di un orizzonte, di una tensione, di un sapere dove andare. Non viene in mente il finale di Ultracorpi di Abel Ferrara (prodotto dalla Warner!) con la voce asettica che ripete: andare dove? andare dove? Per me è interessante come questa morte sia stata tutto meno che naturale. Che sia stato un omicidio, e anche un suicidio.