Quando pensiamo alla “scuola napoletana” spesso dimentichiamo la Mad Entertainment, la factory partenopea che nell’ultimo decennio ha rinnovato l’animazione italiana, riuscendo a imporre una visione in cui la dimensione artigianale accordata alla tecnologia digitale è al servizio di una narrazione profondamente umanista in grado di dialogare con il pubblico internazionale (e adulto).

Come L’arte della felicità e Gatta Cenerentola, anche Yaya e Lennie – The Walking Liberty esplora, rinnova, interpreta in senso postmoderno il carattere napoletano, facendolo riappropriare del mondo e delle sue istanze proprio a partire dalla prospettiva di un popolo e di una cultura locale e insieme globale.

E, al pari dei precedenti lavori, non a caso apprezzati all’estero per la potenza immaginifica e il ripensamento della tradizione, anche qui Napoli non è la Napoli della narrazione ufficiale: Napoli è un reperto, un tatuaggio, un ricordo, una lingua. È la voce di Lina Sastri, antica e ancestrale, che dà consistenza mitologica all’assenza fisica di zia Claire, spirito che accompagna l’avventura dei due eroi titolari. Alla ricerca di un posto nel mondo, Yaya, indomita e non incline a smancerie, e Lennie, gigante buono affetto da un ritardo mentale (il nome rivendica l’ispirazione a Uomini e topi di John Steinbeck), devono fare i conti con un paesaggio post-apocalittico, una giungla che con le sue felci riveste tutta la terra.

Tra le macerie del mondo di prima e i relitti di viaggi interstellari, le milizie dell’“Istituzione” cercano di ripristinare l’ordine precostituito imponendo al popolo libero il loro concetto di diritto. Ed è così che il carattere napoletano reclama il suo eterno attaccamento alla vita e il desiderio di riscatto dovuto a quell’armonia perduta ben espressa da Raffaele La Capria (un luogo dove “la storia si è arrestata, è rimasta irrealizzata”). E l’anima napoletana si cala nei corpi acciaccati ma esuberanti di una scalcinata armata di dissidenti pronti alla revoluciòn, partigiani nelle cui vene scorre il sangue degli eroi delle Quattro giornate, guerriglieri anarchici guidati dalla mano di Dio che combattono per la libertà.

Diretto da Alessandro Rak con musiche suggestive e un bel cast di doppiatori (citiamo, tra gli altri, Francesco Pannofino e Tommaso Ragno), Yaya e Lennie – The Walking Liberty è un’operazione del tutto inconsueta per l’industria italiana non tanto per la rara dunque preziosa forma animata quanto per il contenuto: non siamo abituati alla fantascienza post-apocalittica né siamo avvezzi a vederla intrecciata a temi fantapolitici (l’insurrezione popolare contro un sistema coercitivo e paranoico) e ambientalisti (l’urgenza di proteggere il pianeta e le generazioni che lo abiteranno in futuro, la natura che si riappropria degli spazi sottratti dal capitale).

Rak e compagni credono nell’animazione quale dispositivo per reinventare sguardi e ricostruire mondi e, ancora una volta, in questo cinema politico, ricorre il tema della memoria come strada verso la salvezza e macchina di senso per immaginare ciò che verrà dopo. E qui è il Chaplin del Grande dittatore, col discorso all’umanità che vediamo sullo schermo tra le macerie di una sala, a ricordare quanto il cinema sia potente nell’offrire una bussola nello spaesamento.