Wyoming, 1963. Per la seconda volta, il giovane Dick Cheney viene arrestato per guida in stato di ebbrezza. “A quei tempi, un ragazzo del genere veniva definito un fannullone. Ai giorni nostri sarebbe definito uno stronzo”.

Ai giorni nostri (nel primo decennio degli anni 2000), quel “fannullone” è stato il presidente de facto della più grande potenza del mondo, gli Stati Uniti, ufficialmente guidata da George W. Bush.

Dopo La grande scommessa, film che entrava nei meccanismi del crack finanziario del 2008 e che gli valse l’Oscar per la migliore sceneggiatura, Adam McKay si concentra questa volta su 50 anni di politica americana: per farlo porta sotto i riflettori uno dei personaggi chiave, notoriamente “nell’ombra”, artefice del più grande cambiamento nella storia della democrazia statunitense, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre.

Come per il film precedente, McKay si affida a Christian Bale – chiamato ad una spaventosa trasformazione camaleontica come già accaduto nel corso della sua carriera – per interpretare il protagonista, affiancandogli un altrettanto straordinaria Amy Adams: l’attrice è Lynne Cheney, moglie di Dick e vera forza motrice per la sua continua ascesa.

Con uno stile ormai riconoscibile, frantumando di nuovo le convenzioni narrative più ovvie, sgretolando la quarta parete utilizzando un narratore atipico, l’uomo della strada americano (una scelta “di cuore”, capiremo poi…), McKay realizza un’altra, incredibile partitura: Vice è un’opera jazz sorprendente, capace di saltare con disinvoltura dal terrore dell’11 settembre ai gargarismi davanti lo specchio prima di andare a dormire, mostrando senza alcun timore reverenziale gli aspetti più intimi di un uomo, da un lato marito e padre amorevole di due figlie (una delle quali lesbica dichiarata, ma mai osteggiata da Dick), dall’altro stratega senza scrupoli, capace di mistificare senza alcuna vergogna le ragioni alla base di alcune tra le pagine più dolorose della politica interna ed estera degli Stati Uniti, dalle torture di Guantanamo alla guerra in Iraq, passando per il controllo informatico e telematico dell’intera popolazione.

Sberleffo irriverente, ma non solo, Vice - candidato a 6 Golden Globes e sicuro protagonista ai prossimi Oscar - è una biografia (ovviamente non autorizzata) appassionante e incisiva, capace di intrattenere, certo, ma anche e soprattutto di far riflettere. È un grande film di attori, soprattutto, dove oltre ai due già citati Bale e Adams, rivestono un ruolo non secondario Steve Carell (è Donald Rumsfeld, prima mentore poi sottoposto di Cheney) e Sam Rockwell (è George W. Bush, impersonato alla stessa stregua di un burattino inesperto disposto a qualsiasi cosa pur di far colpo sul padre).

Da operaio elettrico senza futuro nel rurale Wyoming ad astuto burattinaio nella stanza dei bottoni degli USA, l’ascesa di Cheney inizia da lontano, come tirocinante del Congresso: già durante l’amministrazione Nixon si insinua nel tessuto politico di Washington DC (“In che cosa crediamo?” chiede ad un certo punto a Rumsfeld, ricevendo come risposta una fragorosa risata), diventando Capo dello Staff della Casa Bianca sotto Gerald Ford e, dopo cinque mandati nel Congresso, Segretario alla Difesa per George H. W. Bush.

Christian Bale è Dick Cheney in Vice di Adam McKay

Poi le prime avvisaglie di un cuore malandato, e la decisione di abbandonare la politica con le spalle coperte dalla posizione di CEO della petrolifera Halliburton: il film – suggerisce anche un irresistibile inserto con tanto di abbozzo di titoli di coda – potrebbe concludersi qui. Ma sarà una telefonata (“di domenica mattina!”) a convincerlo di poter tornare in pista.

Ma per accettare la carica di vicepresidente (“un ruolo inutile, si aspetta solamente che il presidente muoia”, gli ricorda la moglie) offertagli dal figlio di Bush strappa l’implicito accordo che sarebbe stato lui ad esercitare un controllo sull’esecutivo pressoché totale. Un co-presidente in tutto e per tutto. Il resto – come si dice in casi come questi – è storia.

Ed è quella che stiamo vivendo tuttora.