Partiamo dal fondo per una volta. Conviene, con tutto il rispetto, farsi un lunghissimo viaggio in automobile dalla Francia a La Mecca, via Bulgaria, per poi arrivare stremati davanti alla sacra pietra e rimanerci secchi? Qualche addetto ai lavori ha addirittura sussurrato al vicino di poltrona che Viaggio alla Mecca è un film paradossalmente anti-islamico, almeno per noi occidentali non abituati ad un così strenuo e sentito pellegrinaggio, spesso in condizioni logistiche proibitive. Ovvio, in Arabia Saudita ci si arriva anche in aereo, ma è proprio il protagonista anziano della pellicola a suggerire al figlio, che poco convinto lo sta accompagnando alla moschea del "profeta", che quel tipo di itinerario va fatto con mezzi di fortuna ("mio padre lo fece a dorso di mulo"). Così l'epopea del duo Réda, non attento alla sacralità del rito religioso, e padre, ligio e metodico discepolo della religione musulmana, finisce in tragedia. Sono però le due ore di strade ghiacciate e piene di neve, poi all'improvviso brulle e assolate, e i continui bisticci e immediate riappacificazioni tra i due protagonisti, a non riuscire ad infondere quello spessore e quella intensità che probabilmente il quarantaduenne regista marocchino Ismael Ferroukhi intendeva raggiungere con questa sua prima esperienza al lungometraggio. Maneggiare con successo la classica dimensione simbolica del viaggio (colmare la distanza geografica, come quella affettiva dei due protagonisti) è impresa ardua. Soprattutto se la struttura di base del racconto (padre vs. figlio) zoppica proprio perché accanto alla compunta seriosità e al reale rispetto per le forme esteriorizzate della religione musulmana (la preghiera con il tappeto rivolto a La Mecca, il parco vestiario), le battute tra i due attori tendono sempre all'iperbole che ricade nell'episodio e nelle situazione buffe per strappare a tutti i costi un sorriso. Oppure se l'accompagnamento musicale, che è veramente identico ai ritornelli di Michael Nyman in Wonderland, con violini e compagnia d'archi a tutto spiano, sottolinea, in crescendo, i momenti più tesi tra i due protagonisti. Così una presunta semplicità del narrare si trasforma in un vuoto simulacro di aspettative "alte" e impegnate. Forse alla fine per Ferroukhi, come per Réda e padre, era meglio andare a La Mecca in aereo.