David Robert Mitchell lavora fin dal suo primo film sul nulla, non nel senso di vuoto morale ma proprio come forma filmica cercando di dare forma all’inconsistenza: più sottilmente in The Myth of American Sleepover, più concretamente in It Follows in cui il nulla era un vero e proprio personaggio.

Un lavoro filmico e formale che prosegue anche in Under the Silver Lake in cui quello che non c’è, che non esiste e che non può essere diventano il centro di una rilettura del noir classico.

Il protagonista (Andrew Garfield) è un perditempo che si innamora di una ragazza appena arrivata nel suo residence la quale dopo pochi giorni scompare: si pone sulle sue tracce ed entrerà in un intrico fitto fino al delirio, come ogni buon noir che si rispetti. Mitchell prende Chandler e la sua versione acida, ovvero Vizio di forma di Pynchon (e il film di P. T. Anderson), e realizza un noir stupefatto in cui la commedia prende sempre più le forme di un delirio fatto di messaggi subliminali, assassini di cani, complotti e cultura pop anni ’80 e ’90 tutto frullato dall’occhio hipster del regista (prodotto da A24, la più hipster delle società).

E in questo frullato dove Mitchell mette di tutto in modo più o meno diretto, da Hitchcock e Lynch a Super Mario, costruendo l’immagine come una mappa del tesoro, si racconta la gioiosa superficialità di un mondo, il modo con cui fa i conti con l’ignoto e il bisogno di ritrovare dietro o dentro l’indolenza un sentimento vero, un appiglio umano da cui ricominciare.

Il cinema classico è il punto di partenza - le luci (per esempio, l’entrata in scena della femme fatale Riley Keough, il modo in cui il taglio luministico le inquadra gli occhi) o la musica di Rich Vreeland che suona orchestrale come negli anni ’40 - di un viaggio cinematografico che entra sempre più in contatto col delirio e a esso crede dando colore e una certa emotività al vuoto, al buco nero dell’inconoscibile in cui naviga.

Una detective story in cui l’unico ordine possibile da dare alla realtà è quello del vuoto, dell’assenza di senso: Mitchell è perfettamente consapevole, anche data la durata di 140’, di chiedere allo spettatore di seguirlo in un cammino incerto, all’apparenza sconclusionato e dai toni stranianti sia nella risata che nella tensione.

Ma se si sta al gioco, se se ne accettano le regole improbabili, Under the Silver Lake è un film divertente, curioso, originale e sotto sotto anche emozionante.