Le torture di Guantanamo sono una ferita che ancora non si è rimarginata. A soccombere è stata l’identità nazionale, il mito del salvatore che si è fatto carnefice. La banalità del male è diventata contemporanea. Come diceva Clint Eastwood in Gran Torino: “La cosa che tormenta di più un uomo è ciò che non gli hanno ordinato di fare”. Fino a che punto si sono davvero spinti i governanti? Forse tutta la verità non la sapremo mai.

Al cinema è nato un filone su Guantanamo, che negli anni ha superato i confini degli Stati Uniti. Prima dell’11 settembre, nel 1992, ci aveva pensato Rob Reiner a denunciare il lato oscuro della divisa in Codice d’onore. Poi Guantanamo ha cambiato volto, e sono arrivati The Road to Guantanamo di Michael Winterbottom e Mat Whitecross, Camp X-Ray di Peter Sattler e il bellissimo documentario di Alex Gibney Taxi to the dark side. Sul campo della finzione abbiamo visto Jodie Foster in The Mauritanian e Adam Driver in The Report. Quella brutalità l’aveva sfiorata anche Kathryn Bigelow in Zero Dark Thirty.

Il regista Andreas Dresen in Mamma contro G. W. Bush cambia il punto di vista. Si tratta di un film tedesco, e non a stelle e strisce. Guantanamo è una minaccia lontana, un luogo di cui al momento è impossibile carpire i segreti. Che cosa succeda all’interno del campo è nascosto, è a migliaia di chilometri di distanza. Questa volta lo spettatore è portato all’esterno. Non si vedono le gabbie, il waterboarding, la violenza. La tensione è quella di un genitore, di una madre coraggio, termine coniato non a caso da Brecht in Madre coraggio e i suoi figli.

Siamo in Germania, lei ha origini turche. Il primogenito vuole partire per il Pakistan per studiare il Corano. Sparisce. Si scopre che è in una base americana a Cuba, in prigione. Lei si rivolge a un avvocato, fanno l’impossibile per riportarlo a casa. La macchina da presa è incollata al corpo di Rabiye Kurnaz, interpretata da Meltem Kaptan. Estroversa, vulcanica, nella sua semplicità spesso fatica a cogliere le sfumature dell’universo che la circonda. Ma tutto il film si regge sulla sua tenacia, su un mondo che ha paura di alzare la testa davanti al sopruso. A uscirne sconfitti non sono solo gli Stati Uniti, ma anche la Germania. È descritta come un Paese che respinge, una terra incapace di accogliere. Colpevole? Innocente? La vittima è la dignità umana, la giustizia che cede il passo al lato più brutale, la coscienza che scende a patti con la volontà deviata.

Dietro a una ironia di facciata, Dresen dipinge un ritratto di estrema violenza. Non lasciamoci ingannare dalla leggerezza di superficie, Mamma contro G.W. Bush va in profondità. Mostra il ribaltamento di ogni codice, il fallimento della legge. È la guerra sotto un’altra veste, che si combatte silenziosamente senza spargimenti di sangue. La protagonista è il contraltare di Jack Lemmon in Missing - Scomparso. Lui era quieto, introverso. Lei è una forza della natura. Ad accomunarli è la foga nel raggiungere l’obiettivo, il sentimento che supera ogni campo di battaglia. Il film è stato presentato all’ultima edizione del Festival di Berlino, dove ha vinto il premio per la miglior attrice e per la sceneggiatura.