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Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi in Una figlia - Foto Francesca Fago
Sofia (Ginevra Francesconi) è un'adolescente orfana di madre che non va d'accordissimo (eufemismo) con la nuova compagna del padre, Chiara (Thony). Una sera, al culmine dell'ennesima discussione, la ragazza compie un gesto folle, incomprensibile, imperdonabile.
Due anni dopo Mia, Ivano De Matteo continua a mettere al centro del suo cinema le dinamiche familiari in seguito ad eventi traumatici, estremi.
Da questo punto di vista Una figlia (presentato in anteprima al Bif&st, nelle sale dal 24 aprile) è forse più prossimo a I nostri ragazzi - film dove si rifletteva sulla scelta che avrebbero fatto dei genitori in seguito ad un reato compiuto dai figli - anche se stavolta De Matteo (anche autore dello script come di consueto insieme alla compagna Valentina Ferlan, con il romanzo Qualsiasi cosa accada di Ciro Noja come punto di partenza) si sofferma maggiormente sul dramma emotivo che vivrà Pietro, il padre della ragazza interpretato da Stefano Accorsi, in seguito all'arresto della figlia.


Stefano Accorsi e Michela Cescon in Una figlia - Foto Francesca Fago
Dal CPA (Centro di prima accoglienza) al carcere minorile di Casal Del Marmo, fino al successivo trasferimento in comunità, il film da una parte segue il percorso "riabilitativo" di una ragazza disabituata a certi contesti, a certe figure (a partire dalle due compagne di cella), dall'altra si concentra sul processo interiore di un uomo che, confuso e spaesato, dapprima rifiuta qualsiasi contatto con Sofia ("mia figlia non esiste più") salvo poi tentare - anche grazie agli sforzi dell’amica avvocato Mariella (Michela Cescon) - un graduale riavvicinamento.
Probabilmente meno "feroce" del precedente Mia (la cui dinamica di ingaggio con lo spettatore era forse più semplice), Una figlia compie rispetto a quello un ribaltamento radicale: lì la giovane protagonista era la vittima (e con lei i suoi genitori) con cui empatizzare, qui ci si sofferma sul "dopo", sulle conseguenze di un gesto estremo e sulla possibilità (o meno) che un genitore possa continuare ad essere tale anche in seguito ad una follia imperdonabile.
"La sofferenza delle vittime è più semplice da descrivere ma per quella del carnefice bisogna usare particolare cautela - dice De Matteo -. Ecco, ho girato questo film con molta delicatezza, con attenzione, tentando di non ferire e di non infierire. Tentando di essere solamente un obiettivo che riprende, senza giudicare. Senza mai soffermarmi sulla parte violenta della storia ma tentando di dare luce alle conseguenze".


Ivano De Matteo sul set di Una figlia - Foto Francesca Fago
Come d’abitudine il cinema del regista romano non è fatto di sottrazioni, non mancano dunque i momenti urlati (le scene in carcere, soprattutto) ma è altrettanto pacifica la volontà di far compiere un cammino ai suoi protagonisti - personaggi che a noi vengono restituiti senza alcun prologo (il lutto pregresso di Pietro e Sofia e l’elaborazione incompiuta di tale dolore li percepiamo strada e storia facendo) - un percorso attraversato da emozioni contrastanti, fatto di decisioni prese e poi abortite, o viceversa, di ulteriori scoperte inaspettate (alcune che potrebbero addirittura riscrivere il futuro di Sofia), un percorso che, anche stavolta, sembra nascere in primis nei pensieri del De Matteo padre (due figli, di 21 e 16 anni) chiamato poi a dialogare con il De Matteo autore e regista.
D'altronde "un figlio deve smettere prima o poi di essere un figlio, ma un genitore non può mai smettere di essere un genitore, qualunque cosa accada".