“Venus sarà la numero uno del mondo. Tu sarai la migliore giocatrice di tutti i tempi”.

Richard Williams è l’uomo che ha “costruito” le due leggende del tennis moderno, le figlie Venus e Serena (la prima vincitrice di 7 Slam, con cinque trionfi a Wimbledon, la seconda di 23 Slam, record assoluto nell’era Open), decidendo già da prima che nascessero (la molla nel 1978, con il premio di 40mila dollari assegnato alla rumena Virginia Ruzici per la vittoria del Roland Garros) quale sarebbe stato il loro destino.

Will Smith – anche produttore – veste i panni di questa figura sui generis, tenuta da tennis h24 (indosserà i jeans in una singola sequenza, più un’altra dove monta la divisa da metronotte), rompiscatole a livelli disarmanti, che per il primo terzo del film invade la quotidianità dei migliori coach californiani per convincerli ad allenare – pro bono – le proprie figlie.

Storia vera traslata dallo script di Zach Baylin, il film diretto da Reinaldo Marcus Green si concentra (in due ore e mezza) sul momento chiave della formazione delle due sorelle tenniste, i primi cinque anni dei ’90, che videro il passaggio dal court comunale di Compton alla scelta del primo allenatore in Paul Cohen (Tony Goldwyn), i primi tornei juniores di Venus, il trasferimento in Florida per seguire il programma di Rick Macci (Jon Bernthal), e la possibilità per Venus di diventare o meno una professionista, fino al primo torneo da pro, nel ’94, ad Oakland, battuta al secondo turno dall’allora prima tennista del mondo, la spagnola Arantxa Sánchez Vicario.

Edificante per statuto (entrambe le sorelle figurano come produttrici esecutive), agiografico ma attento a non esserlo in maniera troppo spudorata, King Richard – il titolo originale mette più facilmente in chiaro quale sia l’oggetto principe della narrazione – è biopic godibile nella sua lineare semplicità, storia di riscatto allo stato puro (più volte viene ribadito dell’infanzia in Louisiana del padre, vittima di episodi di violenza razziale), esaltazione di quel sogno americano che attraverso l’affermazione (duplice) in uno sport tradizionalmente “bianco” diventa storia ispiratrice, “modello” da seguire.

Una Famiglia Vincente - King Richard
Una Famiglia Vincente - King Richard
Una Famiglia Vincente - King Richard
Una famiglia vincente - King Richard © 2021 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy of Warner Bros.

E poco importa se (nel film) venga messo in risalto solamente l’aspetto più “pittoresco” di una pressione che invece sarà stata ai limiti del sopportabile – (gli allenamenti di notte, sotto al diluvio, o il mettere costantemente bocca sulle indicazioni dei coach ufficiali o, in ultimo, decidere di togliere Venus dai tornei juniores per tre anni e farla debuttare direttamente tra i pro, a 14 anni) – con le due ragazzine che non sembrano mai, mai, chiedersi se in fondo è veramente quella la vita che vogliono, anzi. Quello che conta è che alla fine “il piano” redatto in un’ottantina di pagine e trasformato in brochure promozionale si sia avverato alla perfezione.

“Se fallisci nella pianificazione, stai pianificando il tuo fallimento”.

Il pullmino della Volskwagen per spostarsi anche con le altre tre figliastre (avute dalla moglie Oracene – interpretata da Aunjanue Ellis – nel precedente matrimonio), i carrelli del supermercato pieni di palline da tennis, una manciata di figli precedenti sparsi chissà dove, Richard Williams – o meglio, il Richard Williams che restituisce sullo schermo Will Smith, che spera finalmente di ottenere la statuetta dell’Academy, dopo le due nomination per Alì e La ricerca della felicità – è un uomo che già il documentario del 2012 (Venus and Serena, diretto da Maiken Baird e Michelle Major) aveva provato ad inquadrare, come più recentemente la giornalista Giorgia Mecca con il libro Serena e Venus Williams, nel nome del padre (Ed. 66thand2nd), un uomo che aveva previsto tutto.

Anche, addirittura, che la tigna della più piccola, cresciuta inizialmente “all’ombra della sorella”, le avrebbe garantito – un giorno – di superarla.