Non è chiaro se sia per la passione smodata di Cattleya per i remake francofoni o per la necessità del cinema nostrano di trovare spunti per esaltare le bellezze della provincia in favore di film commission, fatto sta che il ritorno dopo 15 anni alla regia di Massimo Gaudioso (autore di notevoli sceneggiature per Matteo Garrone) con Un paese quasi perfetto è un fallimento.

Il film racconta di un paesino lucano, semi-disabitato e senza lavoro, che cerca di convincere un'azienda ad aprire lì una nuova fabbrica: ma oltre a qualche falsa dichiarazione sul numero di abitanti devono convincere un medico a trasferirsi da loro, per ottenere i finanziamenti. La scelta ricade su un medico viziato della metropoli che dovranno sedurre con le presunte bellezze del paese. Tratto dal film canadese La grande seduzione di Pouliot, Un paese quasi perfetto è la tipica commedia di equivoci e bugie condita da stereotipi regionali e baruffe paesane che farà sentire a proprio agio i fan di Benvenuti al Sud.

Certo, Gaudioso ha dalla sua il paravento del “tema sociale” ovvero la dignità del lavoro da riacquisire dopo anni di cassa integrazione e di conseguenza la patina di attualità e presa sul reale. Ma alla prova dei fatti filmici, il film è un prodotto col pilota automatico – fin dall'incipit fatto di voce fuori campo che presenta i protagonisti e musichetta folk – alla ricerca di un appiglio e di un tono giusti per farsi apprezzare da più pubblici.

Purtroppo, non ci riesce: se qualche idea presa dall'originale (già rifatto 3 anni fa dal Canada inglese) funziona e lo spirito degli attori - Silvio Orlando e Carlo Buccirosso su tutti - porta un sorriso, a Gaudioso manca completamente il senso della farsa che illuminava Benvenuti al Sud o l'intensità di tocco che rendeva interessante il film originale: né commedia né film di caratteri, nessun vero problema e tarallucci e vino per tutti. Tranne, forse, per gli spettatori.