Nel cuore di un Brasile ritratto in cartoline di vergogna, la sopravvivenza costringe a una scelta: la corruzione o la guerra. Il cinema non è estraneo agli orrori delle favelas, specie quelle ai bordi di Rio de Janeiro, in cui tra rabbia e contraddizioni gli abitanti anelano a una qualche forma di giustizia, a suon di proiettili. Perchè ogni giorno di vita è un lusso da conquistare. Macchina da presa in spalla, il 40enne regista carioca José Padilha si è concentrato sulle squadre di polizia "incorruttibili" attive nelle favelas dal 1997; il risultato è un film estremo, Tropa de elite (Truppa d'elite), scritto con lo sceneggiatore di Cidade de Deus di Meirelles. Orso d'oro a Berlino, il film è da mesi caso mediatico in madrepatria. Ne emergono l'esasperazione del "pueblo" e l'urgenza di un cineasta sotto pressione (e pericolo, avendo girato in situ) ma non, purtroppo, un bel cinema di denuncia: il modello "action" americano (l'addestramento delle truppe è identico a quello dei Marines) invade il film di un'estetica aggressiva, fastidiosa, spesso ricattatoria e sopra le righe. Padilha si è fatto imprigionare dalla violenza in superficie, lasciando senza voce un dolore che urla più in profondità.