Andy è cresciuto. I suoi amati giocattoli – Woody, Buzz Lightyear & Co. – li ha regalati alla piccola Bonnie. Al primo giorno d’asilo, la bimba si “regala” un nuovo amico, Forky, giocattolo assemblato con materiali di scarto, a cominciare da una forchetta di plastica. E da quel momento, la missione di Woody – sceriffo che ancora non ha pienamente metabolizzato l’addio di Andy, ma la cui lealtà è infinita verso il bambino/bambina che scrive il proprio nome sotto le sue suole – sarà quella di evitare a tutti i costi che Bonnie smarrisca quel suo nuovo, prezioso “utensile”.

Nove anni dopo il terzo capitolo, la fortunata saga della Pixar (nata nel ’95, con il primo episodio che coincideva anche con il primo lungometraggio della casa fondata da Lasseter) non perde il proprio smalto.

Attraverso un piovoso prologo scopriamo che fine abbia fatto (un decennio fa) Bo Peep, la bambola di pastorella che aveva popolato Toy Story  e Toy Story 2, e che nell’arco narrativo di questo Toy Story 4 ritrova una centralità importantissima.

Giocato in perenne equilibrio tra il vecchio e il nuovo, con rimandi nostalgici e spinta liberatoria verso una nuova fisionomia della saga stessa, il film diretto da Josh Cooley trova il suo centro nevralgico all’interno di un luna park (altro luogo simbolicamente potentissimo dove la dimensione del gioco riesce ad assumere in maniera liquida i connotati del divertimento e della malinconia) e, soprattutto, dentro un negozio di antiquariato antistante.

 

Da una parte la tradizione – Woody disposto a tutto affinché l’indole autolesionista di chi, Forky, nato dalla spazzatura, abbia la peggio rispetto alla joie de vivre che dovrebbe essere insita in ogni singolo giocattolo – dall’altra la caratterizzazione tenebrosa di Gabby Gabby, bambola impolverata dagli anni sugli scaffali per un difetto di fabbricazione, in mezzo la ritrovata verve di Be Poop (vecchia fiamma e amica di Woody), ormai “smarrita” (senza bambino/a) da tempo, capace di affrontare tutte le situazioni con straordinario carattere e forza d’animo indicibili.

L’avventura rocambolesca – che prevede anche l’arrivo di nuovi personaggi (dai due irresistibili peluche Ducky e Bunny al funambolico motociclista canadese Duke Caboom) – è imperniata in fondo proprio su questo: data per assodata la natura animata di creature per antonomasia inanimate, è importante ora capire quale sia il margine di emancipazione, anche emotiva, che i nostri amati giocattoli possono pensare di raggiungere.

E allora sì, “verso l’infinito – e oltre!” diventa mai come stavolta uno slogan da poter urlare scindendone chiaramente l’attimo. Perché è vero, tutti i bambini finiranno per crescere, prima o poi. Ma tanti giocattoli "smarriti" hanno ancora bisogno di trovare un amico.