Ha suscitato molte polemiche, The Trouble with Being Born, dopo il passaggio all’ultima Berlinale (era nella sezione Encounters, dove ha ricevuto il Premio speciale della Giuria). Respinto da alcuni spettatori della kermesse tedesca, invitato e poi rifiutato dal Melbourne International Film Festival per il suo tema, è nel cartellone del 20° Trieste Science+Fiction Festival, che lo propone con coraggio contestualizzandolo – come dice il nome della rassegna – nel novero della sci-fi di matrice esistenzialista.

Detta così, tuttavia, si rischia di depotenziare l’effetto perturbante di una storia che, sì, può suscitare fastidi e nausee, ma anche ammirazione per la capacità di trovare un equilibrio delicatissimo nel trattare una materia così problematica. Perché Sandra Wollner – al secondo film già nome di punta del nuovo cinema austriaco – punta in alto, sin dal titolo che attraverso l’Emil Cioran di L’inconveniente di essere nati rilegge, ripensa, ribalta, riformula la favola di Pinocchio.

Nella gabbia angosciante dei 4:3, lo sguardo ipnotizzante della regista si modula in una disperata rielaborazione al contrario del testo collodiano. Protagonista è Elli, un’androide quasi adolescente che vive con un uomo che chiama papà in una villa di raffinata eleganza minimalista. Nuotano in piscina insieme, condividono ogni cosa e lui la porta a letto di notte. È il “padre” a programmarla, smontarla, plasmarla, dandole pezzi di una memoria che ha un significato solo per lui. “Mamma non ce l’avrebbe permesso. Per forza: non deve sapere tutto”. C’è una madre? Chi è l’uomo? Da dove arriva quell’androide?

È chiaro: quello tra l’adulto e la bambina è un legame scabroso e nauseabondo, ma Wollner ha l’intelligenza di non accomodarsi sulla facile provocazione. Ambientato in un tempo sospeso, un’ipotesi distopica, The Trouble with Being Born si muove in un terreno impervio tenendo conto di un elemento fondamentale: Elli non ha un cervello, non ha emozioni, non vive. È una replica di qualcuno che non c’è più. L’incesto con colui che lei chiama papà assume in questo senso una dimensiona ancor più inquietante perché spesso suggerito e lasciato fuori campo eppure visibilissimo e agghiacciante.

La natura statica dell’androide subisce un mutamento quando slitta di genere: Elli esce dalla casa-prigione, attraversa il bosco e diventa Emil, un maschio. La fase di passaggio non è molto fluida, l’antitesi di Pinocchio perde un po’ di forza, ma il film è abbastanza sconvolgente, conferma lo sguardo audace di un’autrice in ascesa e rivela la decenne Lena Watson, spiazzante per istinto e consapevolezza.