Il signor Misumi uccide e brucia il suo ex datore di lavoro sul greto di un fiume. O almeno, questo è quello che vediamo all'inizio del film. Dopo aver scontato 30 anni di prigione per un omicidio commesso in gioventù, ora Misumi - reo confesso - rischia la pena di morte. Ma quando l'avvocato Shigemori (figlio del giudice che, 30 anni prima, aveva evitato la pena capitale all'uomo) assume la difesa di Misumi, inizia a comprendere che quella verità apparentemente così limpida e assoluta potrebbe nascondere sfumature talmente ampie da poter ribaltare un verdetto che sembra scontato.

“Il tribunale non è il luogo in cui si stabilisce la verità”. Parte da questo assunto, Hirokazu Kore'eda, per mettere in atto questa grandiosa riflessione sull'impossibilità della verità e sulla vacuità della giustizia: The Third Murder (e capire quale sia questo terzo omicidio non è difficile...) si snoda lungo i sentieri del legal drama ma è in realtà un percorso labirintico dentro la natura e le pulsioni degli uomini.

Verità e menzogna sono le due facce di una stessa medaglia, in fondo, e stabilire con certezza che cosa è accaduto davvero è impossibile. In questo continuo andirivieni di dubbi e certezze, entrano in gioco anche la moglie e la figlia della vittima: chi era, davvero, quest'uomo ucciso in maniera così brutale? E chi è diventato, dopo 30 anni di galera, l'uomo che ora si dice colpevole anche di questo omicidio e che rischia di essere condannato a morte?

Kore'eda ci fornisce lungo la via indizi e tasselli per provare a ricomporre un disegno che, legalmente, troverà una sua risoluzione. Ma che, ovviamente, non soddisfa i criteri di verità e giustizia. Proprio perché impossibili da soddisfare: la nostra società, come ricorda lo stesso regista, "condona un sistema imperfetto che non può reggersi a meno che le persone non giudichino altre persone senza sapere la verità". E il cinema, strumento di verità e menzogna per eccellenza, non può far altro che ricordarcelo.