La sottile linea bianca. Quella che unisce l’andare degli anni, i nomi collegati su una lavagna, l’intricato evolversi degli eventi. La parola al centro di tutto: cancellata, manipolata, “redatta”, come insegnava anche Brian De Palma nel suo bellissimo Redacted, ma lì si parlava di immagini. Si parte dal titolo: The Torture Report.

Poi una riga nera rende torture illeggibile. Resta The Report, il rapporto che sconvolse il mondo sulle tecniche d’interrogatorio utilizzate dalla Cia dopo l’11 settembre. Soffocamento, waterboarding, violenze, impossibilità di dormire…

Il regista Scott Z. Burns si interroga sul dilemma morale. Ammicca a Zero Dark Thirty della Bigelow, guarda al cinema degli anni Settanta.

 

Alle gole profonde, alle fughe di notizie, a quell’atmosfera post-Watergate che processava le istituzioni, e condannava la Casa Bianca e i servizi segreti. Strizza l’occhio a Unthinkable (da noi poco conosciuto), quando Martin Sheen veniva seviziato dallo “specialista” Samuel L. Jackson.

La violenza chiama altra violenza (“Lo abbiamo sottoposto al waterboarding per 183 volte”), la legge non protegge, ma si trasforma nel capestro. E l’obiettivo è insabbiare, rintanarsi nel sottosuolo dove tutto è lecito, anche la fine dei diritti umani.

Burns trasforma Adam Driver in un nuovo Robert Redford, e prende come modello Tutti gli uomini del presidente. Lavora sul corpo del suo protagonista, lo rende un esempio di etica, un ultimo porto sicuro in mezzo a politici senza scrupoli. La bandiera americana non sventola più così alta, va in scena l’altra faccia della Storia.

Quella in cui il patriottismo non è una virtù, e tutto è lecito pur di alimentare i propri interessi. Si sentono gli echi di Plutonio 239 – Pericolo invisibile, dove sul banco degli imputati c’erano le centrali nucleari. Burns, sceneggiatore di Soderbergh e non solo, conferma il suo spirito militante. La sua è una regia solida, schierata, che deve molto ai grandi del passato e con vigore si lancia nella ricerca della verità.