L’action targato Netflix non è incolore. Dimostra di sapersi giostrare tra le esplosioni e i sentimenti. Prendiamo tre titoli: 6 Underground di Michael Bay, Tyler Rake di Sam Hargrave e The Old Guard di Gina Prince – Bythewood. Il primo ha un’estetica ben riconoscibile: videoclippata, ultraveloce. Tyler Rake punta tutto sulla tecnica, sui lunghi (falsi) pianisequenza, sulle coreografie elaborate. The Old Guard invece ha un tono più dimesso, fa incontrare la dimensione del supereroe con quella del mercenario sulla via del tramonto.

L’immortalità viene descritta come una maledizione, una malattia. Vivere per sempre non è una manna dal cielo, e non rende migliori. Deadpool ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia, Wolverine ci aveva costruito intorno la scorza del duro. E di recente Vin Diesel in Bloodshot ne aveva esaltato l’aspetto più fracassone. Invece qui è un “superpotere” disgraziato, anche non eterno. Proprio come se si trattasse di un virus da cui prima o poi si guarisce.

The Old Guard si sofferma sulla malinconia del guerriero, sull’andare degli anni che pesa sulle spalle, anche se fisicamente si è perfetti. È l’altra faccia del Ritratto di Dorian Gray: attraversare i secoli è un incubo, una condanna. Spara, muori, ripeti, si potrebbe dire parafrasando la tag-line di Edge of Tomorrow – Senza domani con Tom Cruise. Ma qui c’è il sapore amaro delle mille battaglie, dell’essere costantemente in fuga, della giovinezza che non è una benedizione.

 

La regista Gina – Prince Bythewood abbandona le tematiche black di L’uno per l’altra e La vita segreta delle api, riesce a fondare un nuovo franchise (ci sarò un seguito?) dai toni equilibrati. Riduce i massacri al minimo, rallenta i ritmi, senza però stravolgere i canoni del genere. Non si appiattisce sugli stunt, ma lavora sul rapporto tra i protagonisti, stereotipando solo il cattivo dalle inclinazioni sadiche. Incolla la macchina da presa sull’affascinante fisicità di Charlize Theron, ormai una costante Furiosa dopo il successo di Mad Max: Fury Road.

Ma anche il nostro Luca Marinelli si difende. Non è più l’impegnato Martin Eden. Sfoggia un buon inglese, si prepara alla dinamicità di Diabolik dei Manetti Bros (nelle sale a fine anno), e si trasforma in un ottimo cecchino, innamorato di un soldato conosciuto durante le crociate. La sua recitazione dolente incontra lo spirito del film, tratto dall’omonimo fumetto, con un’energia non scontata.