Quando la montagna non va al cinema, il cinema va alla montagna. O quantomeno ci prova. La montagna di Rick Alverson – se ne fa accenno nella seconda parte del film – è il misterioso e leggendario Monte Sashta, stratovulcano dormiente del nord della California che, nel corso dei secoli, è stato al centro di numerose mitologie legate tanto a Lemuriani quanto agli Ufo.

Ma la montagna in questione, per Alverson, è l’utopia. Quella che spesso ha caratterizzato molta della cinematografia fondativa degli Stati Uniti e che in qualche modo, attraverso un film totalmente antispettacolare e intrappolato in un rigore glaciale, Alverson prova a spogliare, a contrastare, attraverso una figura a suo modo paradigmatica.

Si ispira a Walter Jackson Freeman II, medico che nei primi anni cinquanta promuoveva la tecnica della lobotomia per intervenire con i pazienti affetti da disturbi psichici. Sullo schermo lo incarna Jeff Goldblum (con un altro nome, è il dottor Wallace Fiennes), che nel suo girovagare di ospedale in ospedale si porta appresso il giovane Andy (Tye Sheridan), utilizzandolo come fotografo ritrattista per immortalare ogni paziente dopo ciascun trattamento. Andy è rimasto orfano di padre (Udo Kier, ex pattinatore artistico!!) ed è ancora in attesa di poter rivedere la madre, da quello che intuiamo già “trattata” tempo addietro da Fiennes e rinchiusa chissà dove.

Adottando un incedere (lobotomizzante) totalmente in linea con l’oggetto della trattazione, il film mette in discussione l’ambizione smodata di un’intera nazione – quella di lanciarsi sempre in avanti verso il futuro senza considerare le ramificazioni, le conseguenze di determinate azioni (parafrasiamo il regista stesso) – ma lo fa paradossalmente adottando la stessa smodata ambizione, uguale e contraria, chiudendosi in un girovagare criptico e lanciandosi in alcuni momenti di follia pura, affidati a Denis Lavant, performer e habitué del cinema di Leos Carax.

 

Al centro di tutto, però, ovviamente, c’è il personaggio interpretato da Tye Sheridan: “Dove finiscono tutte queste persone?”, chiede ad un certo punto a Fiennes il ragazzo, alludendo allo spegnimento successivo alla lobotomia. Interrogativo filosofico e profondo, che troverà (?) risposta – ovviamente – solamente nell’unico modo possibile.