Questa storia inizia nel 2005. Due “cacciatori di dormienti” (Alexander Paris e Robert Simon) acquistano da una casa d’aste di New Orleans (per poco più di 1000 dollari) un dipinto dalla provenienza dubbia, ma dal mistero indiscutibile. “Potrebbe” trattarsi del perduto Salvator Mundi di Leonardo.

Per scoprirlo lo affidano alla nota restauratrice Dianne Dwyer Modestini (vedova del celeberrimo Mario Modestini): dopo uno scrupoloso lavoro di ripulitura, con acetone e acquaragia, la donna si accorge dei molteplici “ritocchi” che quel quadro ha subito nel corso degli anni, addirittura scovando una sorta di “pentimento” dell’autore originale, relativo alla posizione di un pollice. Ma non solo: un dettaglio infinitesimale, relativo ad un vuoto subito sopra la parte superiore del labbro (stesso “marchio” presente sulla Gioconda…), la porta a stabilire con convinzione che l’opera è autentica e l’autore è Leonardo Da Vinci.

Da quel momento in poi l’interesse del mondo dell’arte (e non solo) nei confronti del Salvator Mundi cresce in maniera esponenziale: la National Gallery di Londra decide di passarlo al vaglio di alcuni esperti (tra i quali l’italiana Maria Teresa Fiorio), che giungono alla stessa conclusione della Modestini. Il museo decide allora di esporlo, e lo fa senza preoccuparsi di mantenere in vita il dubbio: il Salvator Mundi di Leonardo Da Vinci.

Ma sono molti gli studiosi, gli accademici, in tutte le parti del mondo che ancora nutrono forti perplessità sulla paternità dell’opera. Per alcuni, ad esempio, quel dipinto è all’85% figlio del lavoro della Modestini, artefice di un dipinto addirittura “più leonardesco di un autentico Leonardo”.

Ovviamente però, una volta che la National Gallery ha “deciso” di esporsi/esporlo in quel modo, il Salvator Mundi entra prepotentemente in un’altra dimensione: ed è la dimensione degli affari.

Qualche anno dopo (nel 2013) l’oligarca russo Dmitry Rybolovlev acquista il quadro per 127,5 milioni di dollari. Poi, nel 2017, costretto a mettere in vendita la sua intera collezione di dipinti inestimabili (comprensiva di Picasso, Monet e via dicendo), affida la questione alla casa d’asta Christie’s: il Salvator Mundi viene battuto per l’astronomica cifra di 400 milioni di dollari (+ 50 milioni di commissioni). L’acquirente, dapprima rimasto anonimo, si scoprirà poi essere il principe ereditario dell’Arabia Saudita. Da questo momento in poi inizia una nuova, incredibile storia.

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La lunga premessa è necessaria per tentare di comprendere l’approccio che il documentarista danese Andreas Koefoed ha dovuto scegliere per raccontare una vicenda intricata come questa: diviso in tre capitoli (Il gioco dell’arteIl gioco dei soldiIl gioco mondiale) The Lost Leonardo è un docu-thriller appassionante e per certi versi sconvolgente.

Chiamando in causa i protagonisti della storia, una miriade tra storici dell’arte, esperti, giornalisti investigativi, ex agenti FBI e CIA, il regista costruisce un impianto storico-narrativo capace di mantenere altissima la tensione e l’interesse nello spettatore, a prescindere dal fatto che si tratti di un appassionato d’arte o meno.

Perché la questione è proprio questa: l’arte – nella sua definizione più pura – c’entra fino a che punto? L’oggetto Salvator Mundi – opera d’arte che ancora oggi divide – diventa allora il punto di partenza, il pretesto per scoperchiare l’oscuro legame che intercorre tra il mondo dell’arte e il denaro (centrale da questo punto di vista la figura dell’affarista svizzero Yves Bouvier, proprietario di un gigantesco porto franco a Ginevra e un altro a Singapore, dove vengono stipate – esentasse – innumerevoli opere d’arte di svariati miliardari), fino a toccare i delicatissimi fili degli equilibri geopolitici.

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Potere e soldi: non a caso il documentario si interrompe proprio laddove sta per iniziare, come detto, un’altra incredibile storia.

Custodito – pare – su uno yacht dal valore commerciale pressoché identico a quello ultimo del quadro, il Salvator Mundi nel 2019 era in procinto di essere ospitato alla grande Mostra su Leonardo organizzata dal Louvre in occasione dei cinquecento anni dalla morte di Leonardo.

Il curatore era in trattative con Badr bin Abd Allah bin Mohammed bin Farhan Al Saud (il principe saudita proprietario del quadro), che solamente qualche mese prima si era incontrato con Macron. Perché alla fine quel quadro al Louvre non è mai arrivato? E perché, soprattutto, quel libretto che analizzava nel dettaglio l’opera, concludendo che fosse senza ombra di dubbio realizzata da Leonardo, acquistato da qualcuno dentro al Museo, venne fatto sparire in tutta fretta senza una motivazione ufficiale?...

Chi la stabilisce, davvero, e senza ombra di dubbio, la paternità di un’opera? Ma soprattutto, è veramente possibile farlo?

Arte, soldi e potere. The Lost Leonardo.