Suggestione Bogdanovich, almeno nel titolo. The Last Porno Show, rivisitazione ironica del The Last Picture Show (da noi L’ultimo spettacolo) del 1971. Al centro c’è sempre una sala cinematografica, la fine di un’epoca, la nostalgia del tempo andato. Per fare un riferimento più vicino a noi, si potrebbe pensare a Goodbye, Dragon-Inn del grande Tsai Ming-liang. Qui a chiudere è un cinema porno. E già dalla prima sequenza il regista Kire Paputts mette in chiaro che la sessualità sarà protagonista. Macchina da presa puntata sul grande schermo: va in scena un film a luci rosse, mentre gli spettatori non si accontentano solo di guardare…

Viaggio nella “depravazione” di Toronto, ma anche nel passato difficile del nuovo proprietario, Wayne, che tra quelle mura ha trascorso la sua infanzia. Nella vita vorrebbe fare l’attore, e segue “il metodo”, quello che fa cercare la verità dietro al personaggio che si interpreta. De Niro recita così, per intenderci. Wayne riesce a ottenere una parte, ma deve girare una sequenza spinta, quindi decide di “studiare” il porno.

Paputts è un cineasta coraggioso, si spinge senza paura oltre il limite. Mostra e non nasconde. A volte si compiace anche dei suoi eccessi, e magari esagera, ma di certo non si tratta di una storia adatta a chi si lascia impressionare. Incontri ravvicinati con i Glory Hole (per richiamare una canzone degli Steel Panther), e poi il momento scult, in cui Wayne ha un rapporto fisico anche abbastanza prolungato con un televisore…

 

Ma in The Last Porno Show non c’è solo l’esaltazione del sesso “perverso”. C’è un’anima malinconica, una difficile riappacificazione con la figura paterna, con gli errori, i rimpianti. La recitazione diventa una questione identitaria, un modo per perdere sé stessi e dimenticare. Al buio, quando le luci si spengono, e svaniscono le inibizioni. The Last Porno Show è una commedia agrodolce, che nella seconda parte gira un po’ a vuoto, e il dramma famigliare fatica a trovare una sua armonia con l’ambiente in cui è immerso.

Paputts non raggiunge le vette del precedente The Rainbow Kid, nato da un cortometraggio. Lì si narrava di un ragazzo diversamente abile alla ricerca della “fine” dell’arcobaleno. Il volto era quello di Dylan Harman, che vediamo anche brevemente in The Last Porno Show. Allora a stupire era stata la leggerezza, il calore con cui Paputts si confrontava con un tema delicato. Qui le ambizioni sono altre, e le immagini sono “consigliate a un pubblico adulto”. Il film è stato anche presentato all’ultima edizione del Toronto International Film Festival.