Kate Wyler è la nuova ambasciatrice americana in UK. Perfettamente a suo agio nelle zone di guerra, il suo destino è Kabul ma viene dirottata su Londra, in piena crisi internazionale. Una portaerei britannica è stata attaccata al largo dell’Iran con un bilancio tragico: 41 marinai caduti, un nemico ignoto e un primo ministro iracondo che inciampa su accuse e scuse.

Approdato senza invito in una splendida villa del Kent, reclama vendetta e punta il dito contro gli iraniani, poi i russi, mentre intorno a lui Kate, il Ministro degli Esteri e la sua squadra sono impegnati a trovare una soluzione contro un colpevole mai accertato. Ma a preoccupare l’ambasciatrice non sono soltanto le intemperanze di un Boris Johnson spennato, nella vena di Iago o di Riccardo III, è soprattutto la presenza, qualche volta essenziale e qualche altra ingombrante, di un marito, ora ‘moglie di’, un veterano della diplomazia che tutti conoscono meglio di lei e a cui i capi di stato si rivolgono più volentieri.

The Diplomat è uno choc di culture, politiche, istituzionali, professionali, magistralmente gestite da Keri Russell, che interpreta Kate da molto tempo. Venticinque anni fa è entrata nel mondo seriale con Felicity, il bel racconto post-adolescenziale di J.J. Abrams, e per un decennio ci ha elettrizzati nel ruolo di Elizabeth Jennings, eroina di The Americans e spia russa infiltrata a Washington, dove finisce per amare davvero un marito imposto dal KGB. È lei il fil rouge tra due serie piene di trappole morali ed emozionali.

Micky Sébastian e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023
Micky Sébastian e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

Micky Sébastian e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

A immagine della spy story di Joi Weisberg, The Diplomat è prima di tutto una brillante riflessione metaforica sulla coppia. Al di là dei giochi e degli equilibri di potere, vivere insieme è un “negoziato diplomatico bilaterale”, stipulato per disciplinare i rapporti e aprire una trattativa quotidiana. Il talamo diventa la sola zona neutra, lo spazio del piacere e del caos prima di tornare in campo navigando a vista tra rancori, segreti, (ri)sentimenti, danni collaterali enormi e (ir)riparabili. E quando la storia d’amore al crepuscolo prende il sopravvento sulla storia tout court, la serie regala emozioni “esplosive”.

Chiariamo le cose, nonostante le emergenze e la tensione costante tra oriente e occidente, The Diplomat non è 24 e nemmeno Homeland. Per farci sentire i dilemmi quotidiani dei personaggi, il racconto adotta un ritmo più esigente, splenico, fatto di sospensioni, di dialoghi domestici e lunghe sedute verbali.

Sottile e frontale, la serie additiva di Debora Cahn è un racconto senza sconti sulle difficoltà di gestire una carriera brillante e un matrimonio, perché tutto si complica quando i ruoli di genere si invertono. Ma The Diplomat non spreca il resto, sommando alla commedia di rimatrimonio, la trama spionistica e diplomatica, che chiama in gioco l’Iran, la Russia predatrice di Putin e qualche altra potenza, e una dimensione meta più misteriosa che riguarda la virtuosa collisione tra un’attrice e il suo personaggio.

Ato Essandoh e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023
Ato Essandoh e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

Ato Essandoh e Keri Russell in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

In ogni primo piano, qualche cosa di immediatamente familiare si impone, come se bastasse uno sguardo di Keri Russell a incollarci al racconto, allo schermo, dove il suo fascino opera una sorta di malia. Ma è uno charme levantino, la sua specialità, appunto. Non ci affezioniamo immediatamente a lei, non è propriamente simpatica, non la seguiamo ovunque per diventare suoi amici ma per vederla avanzare, agire nel mondo, convincere, perdere o vincere, poco importa.

A stregarci è l’energia magnetica della sua spinta in avanti, come se ci proiettasse costantemente nel futuro, come se vedesse il gioco prima di noi e degli uomini che come le eroine delle commedie degli anni Trenta trascina in una cascata di situazioni imbarazzanti, un percorso vertiginoso di crescita che conduce il maschio maldestro a una nuova consapevolezza.

Keri Russell ha la forza convincente di Katharine Hepburn, regina naturalmente mascolina della screwball comedy e di un mondo classico a cui è impossibile non pensare tanto la scrittura si fissa su dettagli evidenti: parole che sfuggono inavvertitamente, lapsus, mani che si sfiorano quasi per caso in una conflagrazione comica dove non si sa più chi sia l’inseguitore e chi l’inseguito.

Per non parlare degli scontri fisici diretti, come nel superbo e memorabile episodio 3, la zuffa “oltre la siepe”. Kate e Hal (Rufus Sewell impeccabile), consorte e ambasciatore in disuso, discutono di divorzio a un passo dalle guardie del corpo di lei che prima gli assesta un pugno e poi gli salta al collo in un movimento di esilarante intimità sessuale, concreto suggello di un destino comune e ormai inestricabile, come le foglie tra i capelli scarmigliati di Kate. La piccola catastrofe anziché separarli naturalmente li incolla e il gioco continua.

Miguel Sandoval e Rory Kinnear in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023
Miguel Sandoval e Rory Kinnear in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

Miguel Sandoval e Rory Kinnear in The Diplomat. Cr. Alex Bailey/Netflix © 2023

A due, a tre e poi a quattro con l’ingresso di un ministro romantico e della sua svettante sorella. La nuova coppia autorizza il dilagare di doppi sensi che potrebbero anche non preludere nulla, lo sapremo nella prossima stagione. Keri Russell e il suo sguardo franco, il suo passo dritto e impegnato, la sua capacità simultanea di dissimulare e svelare l’intimità, la sua collera naturale, la sua maniera di sfuggire a qualsiasi oggettivazione, rendono questa serie irresistibile.

The Diplomat non aggiunge niente di nuovo al genere politico ma riprende con brio i suoi codici, iscrivendosi intelligentemente nel contesto attuale, è sempre questione di Brexit e di guerra in Ucraina. La scrittura impressiona per il suo ritmo e la sua densità. Loquace ma mai prolissa, house of Cahn va a 200 chilometri orari sui terreni accidentati come nei salotti d’oltremanica dove pratica le relazioni internazionali con una virtuosità e un’assenza di scrupoli in perfetta contraddizione con l’idealismo e l’integrità dell’eroina di una coppia inseparabile e mal assortita che dona alla serie il tocco delle commedie coniugali dell’età dell’oro.