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Tra i registi sottovalutati della nostra epoca c’è di sicuro Gavin O’Connor. Il suo Warrior con Tom Hardy e Joel Edgerton è uno dei migliori film sportivi mai realizzati. La tensione dei corpi, l’epica, la lotta per la redenzione. Ci sono diversi fili rossi che uniscono il suo cinema. Da una parte c’è la disciplina: l’impresa impossibile alle Olimpiadi (Miracle), la violenza nella gabbia (Warrior), il basket come strumento per superare l’alcolismo (Tornare a vincere). Dall’altra c’è la fratellanza, il perno delle sue storie.
In Warrior la lotta tra i due fratelli richiamava i classici, da Shakespeare alla tragedia greca. In Pride and Glory la strana coppia era formata da Edward Norton e Colin Farrell, che si destreggiavano tra criminalità e distintivo. Per The Accountant 2, O’Connor torna quindi alle origini.
Nel primo capitolo il protagonista era un uomo geniale, con la sindrome di Asperger. Curava la contabilità della mala, fino a quando non scatenava il finimondo. Nel sequel l’eroe ha sempre il volto di Ben Affleck (già al centro anche di Tornare a vincere), che si deve confrontare con una missione impossibile. E quindi chiama suo fratello, già presente in The Accountant. Lo schema si ripete. Questa volta però non al livello di Warrior o del crepuscolare Pride and Glory. L’obiettivo è realizzare un popcorn movie che unisca l’action e la bromance.
The Accountant 2 è un’avventura muscolare, ruvida, e anche politica. Utilizza lo humour come collante e porta sullo schermo la reunion di una nuova famiglia disfunzionale. Certo, da O’Connor ci si poteva aspettare qualcosa in più. Qui procede un po’ tra alti e bassi, anche se non è mai un cineasta privo di inventiva. Se Tornare a vincere è stato un titolo ingiustamente bistrattato (ottima l’interpretazione di Ben Affleck, che esorcizzava sé stesso attraverso il film), The Accountant era forse tra i progetti meno personali di O’Connor. E The Accountant 2 non migliora di molto le cose.
Ma c’è una maggiore coesione nella storia, e il duo formato da Affleck e Jon Bernthal funziona. Per il resto a imporsi sono una pioggia di pallottole, la tragedia che incombe e il picchiaduro che si fa unica via. Meglio di Jason Statham e compagni (da The Beekeeper a A Working Man), ma non all’altezza di un talento che ha ancora molto da mostrare.