Ted Bundy – Fascino criminale ha a che fare con lo spinoso genere dei biopic, delineando peraltro il ritratto di uno dei più famosi serial killer della storia degli Stati Uniti d’America. A impersonarlo, uno Zac Efron per la prima volta in un ruolo tanto controverso, lontano anni-luce sia dai suoi protagonisti più romance (High School Musical, Ho cercato il tuo nome) che, se è per questo, dai bad boy interpretati più di recente (Cattivi Vicini, We are your friends).

Eppure, l’attore non sembra affatto impreparato, anzi, si distingue in un ruolo difficile e pieno di ombre, nascoste peraltro dalla regia intelligente di Joe Berlinger che fa di necessità virtù, seppellendo fuori scena ogni prova della colpevolezza di Bundy. Ci ritroviamo così spettatori di un film volutamente frammentario, come un puzzle di ricordi di cui non possediamo tutti i pezzi.

Ted Bundy – Fascino criminale (più evocativo in lingua originale: “Extremely wicked, shockingly evil and vile”) è tratto, non a caso, dal libro di memorie di Elizabeth Kendall, pseudonimo della donna che intrattenne un’intensa relazione d’amore con l’omicida, prima che fosse incarcerato per la prima volta.

A schermo, la interpreta un’altra sorpresa a lungo attesa: Lily Collins mette in scena egregiamente la depressione e la devastazione di un dubbio logorante, quello sulla colpevolezza di Bundy, contrapposto alla certezza di un sentimento ostinato e di matrice opposta.

 

Il cast, tra l’altro, riserva altri assi nella manica. John Malkovich nel ruolo del Giudice Cowart e Kaya Scodelario in quello di Carole Anne Boone. Compreso Jim Parsons di The Big Bang Theory, tutti danno prova di grande tenacia e capacità mimetica nel raffigurare persone, prima che personaggi.

Le star, però, rimangono Efron e Collins, impegnati in un ballo a due che li separa presto, fisicamente, ma non smette di suonare fino alla fine del film, al termine di un flashback parabolico che spezza il loro legame solo quando è davvero inevitabile. La morale, dopo averci sottoposto al “fascino” del titolo, si palesa improvvisa e brutale: disumanizzare totalmente un “mostro” è pericoloso perché rende ciechi, incapaci di distinguerlo proprio quando potremmo averlo di fronte. O al fianco.