Nel Kirghizistan occidentale sorge il Monte Suleiman, dedicato al culto islamico del Re Salomone, dove le donne del luogo si recano per chiedere la grazia di avere un figlio. A pregare e a desiderare ardentemente qualcosa, in questo film, sono tutti e quattro i componenti di una famiglia allargata, le cui vicende si compiono proprio alle pendici del monte.

Il piccolo Uluk, recuperato in orfanotrofio da una sciamana che dice di essere sua madre, vuole essere amato da una famiglia. Dopo il miracoloso ritrovamento del figlio perduto, la donna fa di tutto per ricostruire l’armonia familiare con il marito Karabas, che aspira a conciliare l’essere un truffatore alcolista con il ruolo di padre. A complicare il tutto, la sua seconda moglie, incinta, per nulla ben disposta nei confronti della prima.

Presentata all’interno della rassegna Sguardi femminili russi di Pesaro Film Festival e già vincitrice nella sezione East of The West di Karlovy Vary 2018, la pellicola è una coproduzione russo-kirghiza- polacca, diretta dalla moscovita Elizaveta Stishova.

Combinando road movie e dramma familiare, la narrazione si inserisce profondamente nel contesto geografico e culturale del Kirghizistan, nella cui lingua è interamente girato. Vediamo riti mistici e costumi tradizionali, ascoltiamo canzoni popolari e avvertiamo profonda devozione religiosa mentre il camion fabbricato nella DDR – casa e mezzo di trasporto della famiglia – attraversa i meravigliosi paesaggi naturali. Così come l’ottima fotografia di Panduru rende piena giustizia ai luoghi, gli attori sono bravissimi a trasmettere espressioni e sentimenti di un paese in cui la tradizione sembra ancora avere la precedenza sulla modernità.

Stishova interviene a livello narrativo ma si limita a contemplare tutto il resto, permettendo allo spettatore di immergersi completamente, per cento minuti, in un universo dove misticismo e realismo, gioia e dolore, natura e umanità sono strettamente connessi.