È stato affidato a Malcolm D. Lee l’arduo compito di realizzare il sequel di una pietra miliare della cultura pop anni ’90 come Space Jam. Era il 1996 quando i trentenni di oggi, allora bambini, assistettero all’uscita del film, a tecnica mista, che affiancava i personaggi dei Looney Tunes alla legenda del basket Michael Jordan. Quest’ultimo aiutava Bugs Bunny e compagni a battere a suon di canestri degli extra terrestri che tentavano di catturare i Looney per rinchiuderli in un Luna Park.

In Space Jam: New Legends il rapporto padre-figlio è invece al centro della vicenda. Il nuovo protagonista della pellicola è la star dei Los Angeles Lakers LeBron James alle prese con suo figlio Dominique, abile sviluppatore di video giochi, che il padre vorrebbe invece convincere a percorrere la strada spianata che ha davanti a sé come giocatore di pallacanestro in quanto figlio di “King James”.

L’asse portante del film è tutta qui, in questo rapporto padre-figlio che si sviluppa attorno a una partita di basket versione video gioco che ha luogo nel cosiddetto Server-Verso, un mondo digitale da cui le persone in carne ed ossa possono venire risucchiate, composto essenzialmente da mondi appartenenti all’universo Warner Bros. Si susseguono dunque sullo schermo i personaggi delle saghe di Harry Potter, Game of Thrones o Matrix, cosi come riferimenti al film Casablanca e agli eroi DC.

Nelle quasi due ore di film ci sono pochi momenti di tensione e i pochi veri istanti di divertimento sono quelli dei richiami nostalgici al vecchio Space Jam e le citazioni delle altre saghe Warner. Anche il protagonista, un LeBron a tratti impacciato nei panni dell’attore nonostante questa non sia la sua prima prova dietro la cinepresa, non regge – cinematograficamente parlando – il confronto con la prova di Jordan, che ne usciva come un eroe in grado di suscitare empatia con la sua storyline di star in declino.

Il film quindi nonostante sia una sorta di upgrade rispetto al precedente, uno Space Jam 2.0, dal punto di vista degli effetti speciali e della grafica, non riesce a essere veramente memorabile e a raggiungere una dignità propria rispetto all’amatissimo predecessore.