L’altra America, quella a sud del Rio Bravo. Già nel 1950 era vista come un eterno campo di battaglia. Nel classico western Rio Grande di John Ford, ambientato quasi un secolo prima, il passaggio del confine era un gesto temerario che divideva due popoli e costava la vita. Allora nel sottotesto il riferimento poteva essere il conflitto in Corea o le tensioni con l’Unione Sovietica. Oggi varcare quella frontiera difficile è il simbolo di una libertà da esigere, di un’ingiustizia da sanare, un tema scottante per il cinema messicano.

L’esordiente regista Fernanda Valadez in Sin señas particulares racconta la desolazione del suo Paese ferito, massacrato dai conflitti interni e dalle barriere costruite dagli Stati Uniti. Mette il corpo umano al centro dello sguardo per riflettere sulla morte di un sogno, sulla crisi d’identità di una nazione.

 

Sembra di tornare al bellissimo Post Mortem di Pablo Larraín, quando sul tavolaccio del medico legale arrivavano le spoglie di Allende. In quella occasione la vera vittima era la democrazia, e i nuovi assassini erano uomini senza scrupoli, schiacciati dalla sete di potere e pronti a ogni sopruso contro l’umanità.

Qui due ragazzi messicani sperano di raggiungere l’Arizona, ma entrambi spariscono nel nulla. Del primo viene ritrovato il cadavere, del secondo non ci sono tracce. Inizia una ricerca angosciosa e disperata. Gli innocenti dentro i sacchi all’obitorio sono la fotografia di uno Stato più aguzzino che paladino del popolo, in un territorio in mano a gruppi armati criminali.

Valadez evita pietismi, predilige atmosfere secche e sincere. Realizza inquadrature spesso statiche, movimenti di macchina rari e ben dosati. Sovrappone il presente a una dimensione onirica, ancestrale: mattanze intorno al fuoco, violenze inaudite anche contro l’infanzia. A sanguinare è il Messico, rappresentato come una terra assuefatta al dolore e a una rassegnazione senza riscatto.

Le immagini hanno colori sfumati, in un affresco dai rimandi esoterici, dove a un certo punto compare addirittura un diavolo (ve lo ricordate Post Tenebras Lux di Reygadas?). Giochi di luci e ombre, in cui anche il tempo viene manipolato. Cielo e terra si ribaltano, il fuoco prende vita. Ma Valadez sa quando fermarsi, per non sovraccaricare il film e non innamorarsi troppo del suo ruolo di demiurgo. Sin señas particulares è il ritratto di un oggi feroce, è un’opera prima grintosa, a tratti ardita, che lascia ben presagire per il futuro dell’autrice.