Esistono ancora i film scandalo? Forse ormai appartengono al passato. Tutto è già visto, affrontato, siamo figli di un flusso di immagini costante e, a volte, fuori controllo. Sessualità e violenza sono ampiamente sdoganate, in ogni ambito. Persino ai festival le si utilizza per aumentare l’effetto mediatico di un titolo. Quale può essere oggi quindi lo “scandalo”? Giocare con gli opposti, come Kristoffer Borgli nel suo Sick of Myself.

In una società fondata sulla bellezza, sull’edonismo, l’unico modo per avere successo è diventare brutti, martoriare il proprio corpo. Sembra di essere in un body horror firmato da Cronenberg, invece qui l’incubo ha i toni della commedia nera, e arriva dal Nord Europa. La cifra stilistica ricorda quella graffiante di Ferreri. Il team è lo stesso di La persona peggiore del mondo, e a un certo punto compare anche Daniel Andersen Lie. Nelle prime sequenze abbiamo l’illusione di essere ancora in quella realtà, dove la ricerca di sé stessi passa attraverso la comprensione dei sentimenti. Poi la rottura, il sangue, l’aggressione. La storia cambia subito.

La riflessione è sulla follia di tutti i giorni, sulla ricerca spasmodica del successo. Sick of Myself è la cronaca di un narcisismo indomabile, che si fa ossessione. Lui è un artista che forse sta per sfondare, e lei non sopporta di essere la sua ombra. Scopre l’esistenza di un farmaco russo con controindicazioni devastanti: sfigura, distrugge l’aspetto del viso. Questa è la sua via verso le luci della ribalta. Borgli realizza un film respingente, a tratti irritante, che non ha paura di spiazzare lo spettatore. Mette in luce le ombre del politicamente corretto, sfida l’occhio, spinge il pedale del grottesco.

Ha il coraggio di destrutturare i canoni, giocare con i generi, immergersi nell’anima nera di un luogo in cui in apparenza splende il sole. Ma è proprio dove ogni cosa è illuminata che si nascondono le ombre più nere. Si tratta di un film in cui sono le apparenze a trarre in inganno, in cui la peggior nemica è la superficialità. Si è costretti a scavare per non rimanere bloccati in un vortice di ferocia e selvaggia desolazione. È il caos dell’intelletto, il cortocircuito di ogni benpensante, il trionfo della provocazione.

C’è una sequenza in cui la protagonista deve essere intervistata in casa. Si accomoda su una sedia design ideata dal fidanzato, e il compagno la fa alzare, sostenendo che non può svelarla al pubblico prima della prossima mostra, non ancora in calendario. A parte l’invidia cristallina, lo scontro tra i sessi, Borgli evidenzia anche il difficile rapporto che fa coesistere il creatore con la sua opera. E qui si inserisce il sentimento, l’emozione, l’amore che si fa necessità, che può persino rovesciarsi nell’odio.

Sick of Myself è stato presentato in Un Certain Regard nel 2022 al Festival di Cannes. È un film che rifiuta ogni etichetta, che flirta con i sorrisi amari per poi sfidare l’estetica mainstream. Intrigante, non per tutti, ma di indubbia audacia. Già il poster ne è la cartina di tornasole.