Sibyl (Virginie Efira) è una psicoterapeuta, ex alcolista. Decide di abbandonare molti pazienti per tornare a una sua vecchia passione, la scrittura.

Ma non può esimersi dall'accogliere il grido disperato di Margot (Adèle Exarchopoulos), giovane attrice incinta di un suo collega (Gaspard Ulliel) con il quale deve iniziare a girare un nuovo film, diretto dalla compagna di lui (Sandra Hüller). Da quel momento, Sibyl mette su carta le confessioni di questa ragazza e, contemporaneamente, rivengono a galla i fantasmi del suo passato.

Cinema e psicanalisi, metacinema e deliri, Sibyl di Justine Triet tenta la strada del mélange - non particolarmente innovativo a dire il vero - con questa storiella dove dramma e commedia si fondono sfociando in farsa grottesca.

A lungo andare stucchevole e verboso, il film chiede molto, troppo alla sua protagonista (Virginie Efira, che la regista dirige nuovamente dopo In Bed with Victoria e che presto ritroveremo - alla Mostra di Venezia? - nel nuovo film di Paul Verhoeven, Benedetta), restituise un'Adèle Exarchopoulos costantemente in lacrime e non riesce mai davvero a creare una sorta di empatia con lo spettatore.

E se l'assunto, alla fine, è quello dell'adesione troppo simbiotica tra terapeuta e paziente (come anche l'affiche del film suggerisce), beh siamo davvero alla canna del gas.

La sortita a Stromboli, poi, dove Sibyl è costretta a raggiungere Margot sul set del film che sta girando, è la vera  pietra tombale di tutta l'operazione. E non c'è nessun Giorno come un altro di Nino Ferrer che può risollevarne le sorti.

Tra isterie crescenti e scambio dei ruoli, la farsa finisce per compiersi fiaccamente. Con scelte e snodi a dir poco risibili.