Dopo l'11 settembre il reporter Don Larson, con l'interprete Wali Zarif e un cameraman, parte per l'Afghanistan per scoprire la verità sulla caccia a Osama Bin Laden e ai talebani. Arrestato e rilasciato dalla polizia locale, Larson è indotto dalle violenze a cui assiste a imbracciare l'AK47. Si unisce a una pattuglia di guerriglieri dell'Alleanza del Nord diretta alle grotte di Tora Bora, dove gli americani hanno accerchiato Bin Laden. Larson scompare senza lasciare traccia il 18 agosto 2002 . Il 3 settembre l'esercito americano ritrova otto nastri digitali in una grotta abbandonata dagli uomini di Al Qaeda. Primo film non afgano girato in loco, September Tapes è un "mockumentary", ovvero una fiction presentata come documentario, diretta dal trentenne filmaker statunitense Christian Johnston (numerosi reportage televisivi e videoclip alle spalle). La cornice funzionale di questo docu-drama accoglie drammatici elementi di realtà: veri sono gli spari e le esplosioni, autentici i talebani e i membri dell'Alleanza, reali i posti di blocco e i pericoli affrontati dalla troupe, tanto da spingere CIA e Ministero della Difesa USA a porre sotto sequestro buona parte del materiale girato. Girando The Blair Witch Project in tempo - e spazio - di guerra, il regista non centra comunque l'obiettivo dichiarato, ovvero "capire cos'era successo davvero l'11 settembre, costringere gli americani a chiedersi perché siamo andati in Afghanistan e cosa succede davvero lì, perché nel nostro Paese le notizie spesso vengono nascoste". Il surplus informativo di September Tapes è in realtà modesto: tutti gli interrogativi permangono, ma ci saremmo stupiti del contrario. Il limite del film sta da un'altra parte, ovvero nella intersezione di realtà e finzione attuata senza coordinate deontologiche e senza rispetto per i criteri di realtà dello spettatore. I fratellini di Michael Moore hanno le gambe corte...