Trasposizione di Essere senza destino, romanzo d'esordio del Premio Nobel Imre Kertész, Senza destino è l'opera prima dell'ungherese Lajos Koltai, direttore della fotografia di caratura internazionale (Mephisto, La leggenda del pianista sull'oceano, Malèna). Il romanzo di Kertész, qui autore della sceneggiatura, racconta la storia di un ragazzino ebreo ungherese, Gyuri Koves, che riesce a sopravvivere ai campi di sterminio senza rinunciare alla dignità. Come lui, Kertész fu deportato quattordicenne ad Auschwitz e in altri lager nazisti per poi tornare a Budapest, dopo la Liberazione, dove sarebbe diventato scrittore. Koltai si accosta alla materia letteraria con dichiarata reverenza, seguendo con la camera il punto di vista del giovane Gyuri, chiamato da un caso sventurato ad affinare le proprie tecniche di sopravvivenza dietro il filo spinato. Nei 133 minuti di durata del film - francamente eccessivi - Koltai inquadra la banalità del male di Auschwitz e Buchenwald attraverso gli occhi dello straordinario protagonista Marcell Nagy, i cui tentativi di comprensione dell'orrore sono implicitamente delegati allo spettatore. Senza indulgere nel sentimentalismo (con l'ausilio della musica misurata di Ennio Morricone), ma non in una retorica ugualmente nociva, Senza destino affronta en passant il revisionismo, l'odio quale residuo esistenziale degli scampati all'Olocausto, il perdurare dell'antisemitismo anche post-Liberazione e, attraverso l'ottica del ragazzino, la non colpevolizzazione del popolo tedesco. Particolari di pregio in una cornice di qualità, che tuttavia non distacca sensibilmente il ritratto dell'orrore di Senza destino dalla più recente trattazione cinematografica dell'Olocausto. Questo non costituisce di per sè una debolezza, ma la Giornata della Memoria - che cade oggi 27 gennaio - pretende forse anche dal cinema un ulteriore disvelamento del genocidio perpetrato dai nazisti. Che nel film di Koltai non abbiamo trovato.