Sui titoli di testa di Sacro Moderno il titolo del film affiora nella nebbia che avvolge la montagna. Il movimento è accompagnato da un severo coro femminile che recita i versi de La religione del mio tempo di Pier Paolo Pasolini: “In questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza, il più colpevole son io, inaridito dall’amarezza”.

Per parlare di Sacro Moderno (che dopo il debutto nel Panorama Italia di Alice nella Città è passato in concorso al Laceno d'Oro 2021) non si può prescindere dal suo paesaggio. Che è quello in cui è cresciuto il suo autore, Lorenzo Pallotta, esordiente nel lungometraggio dopo esperienze come aiuto regista, nato a Collevecchio di Montorio (TE) nel 1992.

Girato nel comune di Pietracamela (245 abitanti) e più precisamente nella frazione di Intermesoli (91; nei ringraziamenti finali leggiamo anche Crognaleto, 1169, e Fano Adriano, 270), il film si presenta subito come la storia di un luogo che si fa personaggio: un piccolo borgo di montagna che si sta progressivamente decimando.

Tra le pochissime famiglie rimaste c’è quella di Simone, erede tacito di memorie e antiche tradizioni, che vorrebbe farsi carico delle responsabilità del paese nonostante la perplessità dei parenti più anziani. Il ragazzo trascorre le giornate esplorando boschi e alture, in compagnia del fratellino Mattia, provando a spezzare la monotonia quotidiana.

Lontano dal centro abita Filippo, un pastore eremita, che alleva animali e cerca di ritrovarsi attraverso la fede. Così distanti tra loro, Simone e Filippo fanno i conti con limiti e compromessi, l’uno investito dallo sguardo di un popolo che ne sta valutando la tenuta psicologica e l’altro sempre più avulso da un opprimente apparato umano dal quale è scappato. Sarà un agnello a legare per sempre i loro destini.

Nato come un documentario di osservazione sulle tradizioni pasquali in quel pezzo di mondo, sul campo Sacro Moderno ha allargato l’orizzonte collocandosi all’interno del cinema del reale: le vite delle persone, colte nel loro spazio d’appartenenza, vanno a comporre un quadro narrativo che grazie allo sguardo dell’autore e all’intervento in sede di montaggio si fa altro da sé. Un reportage poetico e una fiaba nera, il capitolo di un romanzo di formazione e un dramma sulla ricerca di una connessione spirituale con la natura.

Abbracciando un arco temporale compreso tra le due principali festività cristiane, il film racconta le giornate brevi e dilatate in cui si consumano i riti del Natale (i ceppi nel bosco incendiati per “salutare l’anno vecchio dando fuoco alle cose brutte del passato”) e la Via Crucis della Pasqua con la processione verso un crocifisso in cima al monte.

Quella della comunità del borgo è una relazione col Sacro opposta a quella di Filippo, che interrompe il suo consueto silenzio solo per recitare di fronte alle sue capre i passi del Vangelo (in particolare Matteo 6,25-34: “…E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”).

E se di Filippo scopriamo il quotidiano di un uomo alla ricerca un equilibrio, di Simone osserviamo il percorso di accettazione – o di rifiuto – del suo ruolo nella comunità. Emblematica la sequenza del compleanno di 18 anni: alla festa non sono presenti ragazzi ma solo adulti (anziani soprattutto), come se Simone e Mattia fossero gli ultimi testimoni di una cultura, gli eredi designati a rinnovarla. “Noi finiamo, i giovani spariscono” dice un vecchio: ancestrale e rigoroso, Sacro Moderno si interroga sul loro destino.