I biopic servono (anche) a tramandare la memoria di figure un po’ trascurate e Rustin ha essenzialmente questo obiettivo: riportare sotto i riflettori l’attivista che, nel 1963, organizzò la Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, l’imponente manifestazione a sostegno dei diritti civili ed economici per gli afroamericani passata alla storia per il discorso più celebre di Martin Luther King Jr. (“I have a dream”).

Cinema quintessenzialmente obamiano: non solo perché l’ex presidente e sua moglie l’hanno prodotto tramite la Higher Ground per Netflix, ma anche perché Rustin dimostra quanto, nonostante tutto, resista quel filone storico-civile di sponda liberal che narra, in funzione spesso didattica, le battaglie e le icone della comunità afroamericana (Il diritto di contare, Harriet, The Birth of a Nation, Marcia per la libertà, Judas and the Black Messiah, One Night in Miami…).

Rustin è anche la prova di come Netflix sia diventato lo spazio elettivo per quelle produzioni che un tempo erano appannaggio delle televisioni, quei tv movie spesso in due o più puntate pensati soprattutto per la fruizione popolare. L’approccio è didattico ai confini dello scolastico, l’afflato enfatico quanto basta, ma sono proprio queste caratteristiche a puntellarne la solidità tradizionale.

Rustin
Rustin
RUSTIN (2023) Colman Domingo as Bayard Rustin and Johnny Ramey as Elias. Cr: David Lee/NETFLIX (David Lee/Netflix © 2023)

E se George C. Wolfe è un regista adatto a queste operazioni esplicitamente divulgative (il suo precedente Ma Rainey’s Black Bottom dimostra che fare cinema da un testo teatrale, a maggior ragione importante, non è alla portata di tutti), Colman Domingo è calato nel ruolo, non solo per la maturità espressiva e il carisma innato, ma anche per la storia personale. Questo perché l’attore è omosessuale come Rustin (e Domingo è il secondo attore dichiaratamente queer a ricevere una candidatura all’Oscar in novantasei edizioni) e il film sostiene che l’attivista sia stato relegato all’oblio proprio per il suo orientamento.

Tesi un po’ discutibile – e sicuramente più accessibile – e che sembra voler mettere in ombra il vero motivo dell’eclissi mediatica di Rustin: l’appartenenza a una sinistra più socialista che liberal, legata alle lotte del movimento operaio, in cui il razzismo è un pezzo del conflitto tra ricchi e poveri e non viceversa. Niente di illecito, chiaro, la storia del cinema è piena di queste riletture influenzate dallo spirito del tempo – e peraltro è assodato che l’omosessualità abbia contribuito a tagliarlo dalla narrazione ufficiale – ma è comunque interessante che gli Obama abbiano scelto di sostenere il rilancio di una figura del genere. In fondo l’operazione ha una sua finezza: recuperare un radicale che aveva una visione complessa della militanza civile in un momento cruciale per gli Stati Uniti. Ma il cinema ha ancora questa rilevanza?