Non è il primo film su Aretha Franklin. A parte la serie tv di National Geographic Genius: Aretha c’è un altro precedente ed è un signor precedente. Si intitola Amazing Grace ed è un documentario sulla regina del soul e sul suo leggendario album del 1972. Un piccolo capolavoro, girato con inediti da Sidney Pollack e uscito lo scorso anno in sala.

Viceversa Respect è un film medio, senza infamia e senza lode, piuttosto semplicistico che di sicuro non va dritto al cuore come il lavoro sopracitato.

Diretto da Liesl Tommy (pluripremiata regista teatrale qui al suo debutto alla regia cinematografica), questo biopic parte dagli albori e abbraccia due decenni (dal 1952 al 1972) della vita della famosa cantante, da quando all’età di dieci anni aveva già una stupenda voce da trentenne fino al progetto gospel back-to-the-roots Amazing Grace.

Cresciuta in una famiglia profondamente religiosa (suo padre era un predicatore battista, una figura cardine della comunità nera di Detroit) Aretha, detta Ree (la Franklin bambina è interpretata da Skye Dakota Turner), ebbe un’infanzia difficile: dalla perdita di sua madre (anche lei era una cantante gospel) agli abusi subiti (a seguito dei quali ebbe due gravidanze precoci, una a soli dodici anni e l’altra due anni dopo) fino al difficile rapporto con il padre, fin troppo protettivo e accentratore nei suoi confronti. Anche gli anni seguenti non furono facili: all’inizio della sua carriera fatica a generare una hit (il 1967 è l’anno della svolta quando riarrangia Respect di Otis Redding), i rapporti turbolenti con Ted White, il suo primo marito, appassionato e violento, i contrasti con il padre e gli eccessi alcolici.

Certo è che questa leggenda della musica, prodigio del gospel e sostenitrice dei diritti civili al fianco di Martin Luther King, ha saputo emozionare milioni di persone grazie alla sua voce divina. Contro i suoi demoni, la Chiesa è stata la sua forza. La musica la sua salvezza.

A dare il volto alla Regina del Soul vi è la cantante e attrice americana Jennifer Hudson (classe 1981, già premio Oscar come attrice non protagonista nel 2006 per l’adattamento del musical Dreamgirls), davvero magnifica nel ruolo di Aretha (molte interpretazioni canore sono live). Affiancata da un cast magistrale formato da Forest Whitaker e Audra McDonald, rispettivamente nelle parti del padre e della madre di Aretha; Mary J. Blige, nei panni della diva del soul Dinah Washington; Marlon Wayans, nel ruolo del primo marito della cantante, e Marc Maron, nel ruolo del discografico che la portò al successo.

Prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer, frutto di un lavoro di preparazione supervisionato dalla stessa Franklin e basato su un soggetto firmato dal premio Oscar Callie Khouri, Respect è fin troppo agiografico, classico e didascalico, pur non essendo completamente fedele alla realtà. Ben 140 minuti (davvero troppi) non solo non servono, ma paradossalmente non bastano a restituirci l’anima di questa cantante. Restano le interpretazioni canore e i meravigliosi testi delle sue canzoni. Da Think I never loved a man fino a I say a little prayer, quelli sì che ci toccano nel profondo. Ma, considerando tutta l’operazione, è un po’ pochino.