Tre donne, tre generazioni. La matriarca è travolta dalla demenza senile, figlia e nipote cercano di aiutarla. Ma si tratta solo di una questione clinica? O c’è qualcosa di più incontrollabile che sta condizionando il comportamento della signora? Presentato al 20° Trieste Science+Fiction Festival, Relic, lo capiamo subito dall’atmosfera paranoica e inquietante, è un horror paranormale: oscure presenze infestano gli interni senza luce e nulla possono i fallibili – e vulnerabili, fragili, sottomessi – esseri umani al cospetto della loro potenza.

Prodotto da Jake Gyllenhaal e dai fratelli Russo (quest’ultimi come esecutivi), Relic è l'esordio di Natalie Erika James, che all'attivo ha già quattro premiati corti. Al suo primo passaggio al Sundance Festival, qualcuno ha tirato in ballo The Babadook, altri Hereditary: assonanze ce ne sono così come divergenze, certo è che la fattura dell’esordio conferma la fertilità del genere in terra australiana.

In apparenza un horror incardinato sul topos della casa indemoniata, in profondità uno struggente dramma familiare che riflette sulla scomparsa degli affetti dentro la dissoluzione dei corpi, sulla decomposizione fisica dunque interiore, sul mistero dell’ingovernabile soprannaturale che svela la fine di qualcosa di terreno.

Nell’abisso di una catabasi angosciante, Relic prepara le protagoniste all’elaborazione del lutto seguendo le tracce di un’impotenza di fronte alla morte incombente che si manifesta non per mezzo di terrificanti colpi di scena ma attraverso i segnali di un’asfissia emotiva. L’orrore è il dolore dato dall’impossibilità di fermare il tempo che passa inesorabile, riducendoci a ricordi. Straordinaria l’immagine finale (no spoiler) che, al di là degli effetti speciali, fa emergere l’ammirevole interpretazione della settantottenne Robyn Nevin, illustre teatrante alla prova della vita.