Da Bismillah a Regina per Alessandro Grande. Bismillah è stato un corto di quattordici minuti apprezzato in tutto il mondo (da noi ha vinto il David di Donatello nel 2018), Regina invece rappresenta il suo esordio nel lungometraggio. Ancora una volta Grande tocca il tema della famiglia. In Bismillah al centro c’erano i migranti, una bambina della Tunisia che doveva occuparsi del fratello malato mentre il padre era assente.

In Regina si parte dall’adolescenza. Anche qui manca un genitore, la mamma della protagonista è morta anni prima. Lei sogna di fare la cantante, il papà la sostiene. Fino a quando i due sono costretti a custodire un segreto che potrebbe distruggerli. Il regista mescola il thriller al coming of age, la morte viene dipinta come il passaggio inevitabile all’età adulta. La perdita delle persone care è la metafora dei sogni che si infrangono, nel momento in cui si affronta la crudezza della realtà.

Regina si trasforma in un saggio sulla colpa, sullo scontro generazionale che comporta la fine dell’innocenza. Salvare gli altri o salvare sé stessi, non sembrano esserci mezze misure in una Calabria livida, fotografata da Grande come se fosse la provincia americana. I pick-up, la criminalità, le lunghe strade solitarie che si snodano tra acqua e boscaglia: il cineasta sceglie luci desaturate, atmosfere cupe. Si interroga sul futuro con lucidità, condannando l’egoismo e l’incapacità di ascoltarsi.

 

Regina
Regina
Regina

In Italia sta sorgendo un nuovo cinema che chiede a gran voce una rifondazione. I fratelli D’Innocenzo e Pietro Castellitto lo fanno con toni sferzanti, Mauro Mancini e Grande ritraggono invece il progressivo raffreddarsi dei sentimenti. Mancini in Non odiare raccontava di un medico che decideva di non soccorrere la vittima di un incidente stradale, e Grande qui mette in scena una situazione analoga. Forse non è un caso.

Non riveleremo di più in questa sede, ma stanno nascendo opere prime che denunciano un’umanità mancata, un contemporaneo crepuscolare. Per Grande sembra però esserci possibilità di salvezza. Le soluzioni sono il dialogo, il recupero degli affetti.

Regina è, con merito, l’unico lungometraggio italiano in concorso alla trentottesima edizione del Torino Film Festival. A sorprendere positivamente è anche la giovane Ginevra Francesconi, sempre più convincente davanti alla cinepresa. Potrebbe essere uno dei nomi più interessanti nei tempi a venire.