Ramona, opera prima della spagnola Andrea Bagney, è in Concorso Progressive Cinema alla XVII Festa di Roma. Già passato da Karlovy Vary, scodella a Madrid un prologo à la Woody Allen: scorci urbanistici in bianco e nero, su pellicola 16mm, musiche di Čajkovskij, un’aspirante attrice trentenne, l’eponima Ramona, (Lourdes Hernandez, in patria cantautrice con lo pseudonimo Russian Red), il regista, Bruno (Bruno Lastra), che la scrittura e il di lei fidanzato Nico (Francesco Carril), chef.
Ramona replica monologhi di Diane Keaton in Io e Annie e di Julie Delpy in Prima dell’alba, la commedia romantica replica cliché di genere associandoli a garbate estroversioni, metariflessioni e sospensioni – e garbatissimi accanimenti tra i sessi, un filo crudeli, un tot misogini, con tutto che è una regista.
Chiacchiere e cincischiamenti, nevrosi e indecisioni, il film parte bene al bar, ovvero un po’ stralunato e un tot paraculo, ma si spegne presto, imbarcando noia ed esibita futilità. Lastra e anche Carril non fanno male, la Hernandez in definitiva sì, le manca empatia, presa, financo fascino. Leggerina, insomma.
Sicché Ramona non decolla, perde il treno di esempi eccellenti solo labilmente echeggiati, da En la cama di Matías Bize a (500) giorni insieme di Marc Webb, e si risolve in un compitino diviso in capitoli e partecipato dall’ignavia. E un’accidia scambiata per romanticismo.