Me and Earl and the Dying Girl, in Italia Quel fantastico peggior anno della mia vita, ha (stra)vinto al Sundance Gran Premio della Giuria e Premio del Pubblico, è passato fuori concorso al 33° Torino Film Festival, e ora porta in sala una sana ventata di indie stelle e strisce, genere sui generis recentemente falcidiato dalla serialità, che ne “prende in prestito” le meglio intelligenze creative.

Viceversa, Alfonso Gomez-Rejon viene proprio dalle serie (Glee e American Horror Story) e per il suo secondo lungometraggio di finzione si appoggia al romanzo d’esordio, e di culto, di Jesse Andrews (Einaudi): coming of age, cancer movie, teen movie, di tutto e di più, ma fatto bene, con delicatezza, empatia e (smell like) teen spirit, sul basso continuo indie, Sundance – e hipster, e nerd-fighetto – che ben conosciamo.

Siamo, poeticamente e, diremmo, pure ideologicamente, dalle parti di 500 giorni insieme, The Perks of Being a Wallflowere Little Miss Sunshine: il protagonista è Greg (Thomas Mann), un liceale di talento, ma scarsa autostima, che vivacchia sullo sfondo, senza emergere intenzionalmente, soprattutto, senza farsi toccare da alcunché. Ha in Earl (Rj Cyler) un “collaboratore” – guai chiamarlo amico – con cui realizza in live-action e stop-motion dei corti omaggio e parodia insieme dei capolavori della storia del cinema, da Arancia meccanica a Fitzcarraldo e Aguirre del maestro Werner Herzog. L’ultimo, però, avrà un soggetto originale e terminale: una compagna di scuola colpita dalla leucemia, Rachel (Olivia Cooke), di cui Greg finirà per diventare amico sincero, nonostante l’avvicinamento si debba al diktat di sua madre.

Ilare e ironico, e non solo nei remake artigianali, fresco ed esibizionisticamente sincero nella liaison disperata di Greg e Rachel, disadattato ed esibizionisticamente fuori dagli schemi, Quel fantastico peggior anno della mia vita non lascia indifferenti: nel gramo cinema attuale non è importante, è tutto.