Tra tutti gli sport, il calcio è forse quello che si presta più alla metafora. Prendiamo il portiere. Il Keeper di anglofoni e francofoni. E’ il primo (tant’è che gli viene spesso assegnato l’1 come numero di maglia) e ultimo baluardo di una squadra. Il “custode” che impedisce all’avversario di passare. Questo implica ovviamente qualità fisiche e tecniche importanti. Unite a una necessaria attenzione. Basta distrarsi un attimo e la frittata è fatta. Lo sa bene Maxime, il giovanissimo protagonista del film belga in concorso a Torino, Keeper appunto. 15 anni e destinato apparentemente a una splendida carriera calcistica come guardiano dei pali commette un’ingenuità che gli costerà cara. Anziché difendere la propria porta – la sua vita - fa un clamoroso autogol e mette incinta la propria ragazza, Mélanie. Non è una cosa da poco, ok, ma il punto non è questo. L’errore vero – altro peccato di ingenuità – è pensare di poter gestire la situazione e uscirne incolume. Dopotutto, come gli ricorda l’amico del cuore, anche Hazard, il fuoriclasse belga, è diventato padre a 18 anni e questo non gli ha impedito di sfondare a livello professionistico.

Il dramma implicito di ogni coming-of-age è che non c’è maturazione senza dolore. Non si diventa grandi senza uccidere i ragazzi che siamo. Maxime ama Mélanie, la convince a tenere il bambino, le promette che si prenderà cura di lei, diventerà un giocatore importante, le comprerà una villa. Fa tenerezza questo sentimento. Non conosce però le sue trappole. I tiri improvvisi e quelli mancini. Maxime non riuscirà a parare tutto.

Del resto chi dovrebbe aiutarlo, il coach (che, guarda caso, è suo padre), non lo fa. E le madri non sono poi tanto più mature dei figli, anzi. Così, l’esordio nel lungometraggio di Guillaume Senez allarga il proprio campo prospettico, dai deficit senza colpa degli adolescenti a quelli meno perdonabili dell’età adulta. E lo fa anche visivamente, passando da primi piani stretti/strettissimi ai totali in cinemascope. Perché c’è un mondo oltre Maxime e Mélanie. Ed è un peccato. Loro due starebbero alla grande con il loro piccolo innocente amore.

La cosa interessante di Keeper, che per tanti versi replica bene molti cliché del teen movie all’europea, è il focus sulla figura maschile e sul tema della paternità. Aiutato ovviamente dalla straordinaria presenza scenica di Kacey Mottet Klein, già visto in Sister di Ursula Meier.

C’è aria di Dardenne in molti momenti di intimità tra lui e la sua controparte femminile, Galatea Bellugi. Momenti che sembrano nascere così, sul momento, nel modo in cui gira la vita. Dopotutto di film belga si tratta. Anche se Senez è meno severo dei celebri fratelli nella messa in scena, si concede qualche divagazione pop (a partire dalla colonna sonora) e guarda anche altrove, a Chereau (in particolare quello di Those Who Love Me Can Take the Train) e ad Alain Tanner. Con quest’ultimo condivide il direttore della fotografia, Denis Jutzeler. Non siamo ancora a livello del maestro svizzero, ma gli auguriamo presto di raggiungerlo.