Al quarto film da regista (il terzo, l’edificante La mélodie, passò fuori concorso sempre a Venezia), Rachid Hami arriva in Orizzonti e si confronta con il proprio privato, individuando nella tragedia personale la possibilità di intraprendere un discorso collettivo sulla nazione.

D’altronde è già tutto nel titolo, Pour la France: la patria non come ideologia negativa ma ideale da difendere. Anzi: da amare, per farsi amare. C’è il rimosso colonialista che tocca una conflittualità profonda tra le seconde generazioni desiderose di sentirsi parte di un sentimento nazionale e i presunti difensori di una purezza che ha a che fare con la reiterazione della retorica bellicista e di una simbologia svuotata di ogni valore e ridotta a mera riproposizione della propria immagine pubblica.

Hami mette in scena la propria tragedia familiare: la morta del fratello, allievo di un’accademia militare, avvenuta in seguito a un atto di nonnismo. Costrette a tuffarsi in uno stagno gelido, molte matricole rischiarono di annegare e il giovane cadetto Jallal Hami morì.

Storia lancinante, attraverso la quale il regista coglie l’occasione per ricostruire un romanzo familiare lacerato: dalla ferita antica del distacco dal padre violento, militare anch’egli, ai conflitti tra i due fratelli, l’uno più “spaesato” nella società e l’altro convinto di trovare nell’ambiente militare una collocazione nel mondo e, intimamente, un tentativo di riavvicinamento con la figura paterna.

La narrazione, a volte farraginosa, alterna passato e presente, fa dialogare le contraddizioni di ieri con il dolore dell’oggi, trovando nella malinconia del ricordo anche tormentato un modo per non cadere nella trappola della rabbia. Pour la France è un’elaborazione del lutto commossa e commovente, un atto artistico che prova a restituire alla vittima quella giustizia che non ha ottenuto.

Sul piano emotivo funziona il racconto del complicato rapporto tra fratelli, fatto di rimozioni e tenerezze, scosì come hanno una loro logica, pur nell’evidente schematismo, le sequenze con il generale, fin troppo insopportabile e untuoso, e il comandante costretto a fare i conti con la coscienza e l’onore (Laurent Lafitte). Il passo non sempre agile, lo stile un po’ convenzionale, il coinvolgimento è indiscutibile.