Il tempo, lo spazio, la memoria. La ricerca di identità nei film di Céline Sciamma è spesso legata al desiderio, alla passione. Il suo è un viaggio nei secoli, un’alternanza tra ieri e oggi che si muove fra il racconto in costume e il romanzo di formazione. Petite Maman è una perla dai tratti anomali, che colpisce per la capacità di sintesi e la maestria con cui vengono trattati temi molto complessi.

La sessualità, elemento cardine della poetica di Sciamma, viene messa da parte. Non ci sono i primi amori di Naissance des pieuvres, i travestimenti di Tomboy, i tormenti adolescenziali di Diamante nero, i sentimenti repressi del bellissimo Ritratto della giovane in fiamme. Qui tutto ruota intorno a un’amicizia particolare tra due bambine.

La piccola Nelly ha appena perso la nonna materna, e deve trascorrere alcuni giorni in una casa immersa nella natura. Incontra una coetanea con cui stringe subito un legame molto forte. È il mistero a portare avanti Petite Maman, la sensazione di essere sempre un passo indietro rispetto alle protagoniste. La regista mette in scena il cinema all’epoca del Coronavirus. Pochi attori, vite isolate, il mondo esterno che quasi sembra svanire.

La solitudine dell’ultimo sguardo a teatro tra Noémie Merlant e Adèle Haenel durante L’estate di Vivaldi qui cambia volto. Sciamma parte dall’infanzia, già descritta in Tomboy, per riflettere sull’impossibilità di catturare il presente e di conoscere il futuro. Non a caso il film si apre in un piano sequenza in cui Nelly saluta con un “arrivederci” chi ha condiviso qualche attimo con sua nonna. È come se anche quei momenti ormai appartenessero al passato, perché è impossibile fermare l’orologio.

Petite Maman usa l’elaborazione del lutto per dipingere un universo che si proietta verso il domani. Sciamma narra con competenza, e anche se porta sullo schermo una realtà racchiusa tra poche stanze e un bosco, riesce a infondere un senso di magia fuori dal comune. Realismo magico, direbbero alcuni, a cui si accompagna la necessità di portare l’arte nella propria esistenza.

In Ritratto della giovane in fiamme si parlava di pittura, qui a fluire è la recitazione, le scene in cui le bambine si fingono qualcun altro. Cinema e vita si uniscono, la ghost story si fa sinfonia generazionale. Le immagini simmetriche, i chiaroscuri creati dalle luci che entrano dalle finestre: le atmosfere sono ammantate di tonalità diverse, che si accendono e si spengono con l'evolversi della storia. Petite Maman mescola la poesia agli interrogativi, diventa un affresco di emozioni potenti appena sussurrate. E arrivati al terzo giorno della Berlinale, punta direttamente all’Orso d’oro.