“Quindici titoli, trent’anni di cinema, e un altro film sulla famiglia”, ovvero Pare parecchio Parigi. Leonardo Pieraccioni rincara la dose della commedia italiana, firmando il soggetto con Filippo Bologna e la sceneggiatura con Alessandro Riccio e recitando con Chiara Francini, Giulia Bevilacqua e Nino Frassica. La storia si ispira a “Michele e Gianni Bugli che nel 1982 partirono con il padre malato in roulotte e gli fecero credere di essere arrivati a Parigi. Viaggiarono non uscendo quasi mai dal loro podere. Il film è dedicato a loro. E a tutti i sognatori”.

Nella traduzione cinematografica, per esaudire il desiderio insoddisfatto del padre (Frassica) moribondo di un viaggio di famiglia a Parigi, i figli (Pieraccioni, Francini, Bevilacqua) che non si parlano da cinque anni fingono di partire con lui da Firenze alla volta della Ville Lumière:  in realtà, il camper non valicherà mai i confini di un maneggio.

Siamo alle solite, ma solo parzialmente: Pieraccioni è meno comico e più – registro, lessico e formato – familiare, piegandosi all’andazzo anti-ilare del nostro cinema o, meglio, del pubblico italiano ultimo scorso.

Non ci sono più fuochi d’artificio, tantomeno cicloni, ma una fattura dignitosa, una commedia sulla retta, invero circolare, via, che chiede agli interpreti – il professor Frassica allettato, Francini con toyboy d’ordinanza e trivio a intermittenza, Bevilacqua al coming out – di imbastardire la finzione con vissuti larghi e immedesimabili e a Pieraccioni di fare un passo di lato, dismettendo i panni e le trombette del capocomico.

La cosa migliore rimane il soggetto - che grandi quei fratelli Bugli! – ma il tono non è nocivo, e Pare parecchio Parigi, bella allitterazione, si fa guardare senza crisi di rigetto. Non è così poco.